Tokyo, 7 novembre 2011. Dal Giappone, il Dalai Lama ha dichiarato oggi nel corso di una conferenza stampa che le auto immolazioni dei monaci tibetani sono la conseguenza delle disperate condizioni del popolo tibetano causate dai rigidi controlli di polizia e dal “genocidio culturale” attuato da Pechino. “E’ in atto una sorta di genocidio culturale”, ha denunciato il Dalai Lama, facendo riferimento alle notizie uscite dal Tibet e alle testimonianze di chi lo ha recentemente visitato. “Questa è la causa delle auto immolazioni, conseguenza di una situazione disperata”.
“Negli ultimi dieci anni”, ha detto il Dalai Lama, “sono stati inviati in Tibet emissari del potere di Pechino decisamente molto intransigenti e la conseguenza è ciò a cui stiamo assistendo oggi: giovani monaci che scelgono di immolarsi in nome di una libertà che appare sempre più lontana”. “La propaganda comunista della Cina getta sulla questione tibetana una visuale ottimista e rosea ma, di fatto, anche i cinesi che visitano il Tibet hanno l’impressione che il paese sia in una situazione disperata”, ha aggiunto il Dalai Lama.
La scorsa settimana si è data fuoco Palden Choesang, una monaca di 35 anni del monastero di Nyitso, nella prefettura di Ganzi, in Sichuan. Il gruppo Students for Free Tibet ha riferito che ieri, 6 novembre, circa diecimila tibetani si sono riuniti per commemorarla presso il suo monastero, sotto lo stretto controllo della polizia cinese pronta a intervenire. Le autorità cinesi accusano il Dalai Lama di essere un terrorista separatista e di fomentare i suicidi. “Noi – ha invece sempre precisato il Dalai Lama – condividiamo in pieno i principi della non-violenza”. Più volte ha invitato i religiosi a evitare gesti estremi, ma ha sempre aggiunto di non poter condannare chi si lascia prendere dallo sconforto.
Da Washington, dove si era recato la scorsa settimana per partecipare alla riunione della Commissione Diritti Umani Tom Lantos, anche il nuovo Primo Ministro tibetano, Lobsang Sangay, ha accusato la Cina di aver condotto il popolo tibetano alla disperazione e ha chiesto al governo di Pechino di porre fine alla repressione in atto nel paese. Dopo aver ribadito l’urgenza di una ripresa del dialogo, Lobsang Sangay ha auspicato che sia consentito l’ingresso nella zona di Ngaba, dove vige una legge marziale di fatto, a giornalisti, diplomatici e funzionari delle Nazioni Unite e ha domandato che cessino l’ostilità e le misure poliziesche nei confronti dei monaci.
Fonti: Asia News – Phayul – ANSA