«La nostra comunità è in pericolo»
(da La Stampa, 23 novembre 2008)
DHARAMSALA (INDIA) – Fiducia al Dalai Lama, sì alla sua «via di mezzo» ma niente più concessioni alla Cina e soprattutto nessun definitivo accantonamento dell’idea di indipendenza da Pechino. Questi i risultati della settimana di colloqui a Dharamsala, la città del nord dell’India sede del governo tibetano in esilio, alla quale hanno partecipato 600 tra tibetani in esilio, monaci e sostenitori da tutto il mondo. Invitate dal Dalai Lama come previsto dalla costituzione del governo in esilio, le delegazioni hanno discusso in commissioni prima e in seduta plenaria poi, sul futuro del Tibet e sulla strategia da adottare nei confronti della Cina.
Il messaggio che dall’assembla arriva al governo tibetano, unico organo in grado di decidere dal momento che il meeting aveva valore consultivo, è che si dà fiducia alla politica attendista del leader spirituale. Ma è una fiducia a tempo. Anche se nessun termine è stato fissato, la linea intransigente, portata avanti soprattutto dai movimenti giovanili che vorrebbero azioni decise contro la Cina per ottenere non l’autonomia ma l’indipendenza, non è passata ma ha segnato un punto. Per la prima volta dal 1993, da quando cioè si scelse la «via di mezzo», la richiesta dell’indipendenza è stata avanzata a chiare lettere. È stato il presidente del parlamento tibetano in esilio, Karma Choephel, a spiegare le conclusioni del meeting ai giornalisti. «L’assemblea ha detto alla Kashag (il governo tibetano in esilio) che non ha senso continuare il dialogo con Pechino, visto che la parte cinese non ha accettato le nostre richieste» ha dichiarato Choephel, aggiungendo che non saranno mandati altri negoziatori a Pechino se non vi saranno prima aperture chiare dalla Cina.
Choephel ha anche ribadito che l’assemblea ha «unanimemente dichiarato fiducia nel Dalai Lama», ma ha anche minacciato di «muoversi per una completa indipendenza e autodeterminazione» se la «via di mezzo» del leader spirituale dovesse fallire nel lungo termine. In ogni caso c’è un punto sul quale l’assemblea è stata chiarissima: sia nella richiesta di autonomia sia nel rivendicare l’indipendenza, la politica sarà sempre quella della non violenza. L’assemblea ha anche chiesto che la Cina smetta di criminalizzare il Dalai Lama, riconosciuto a livello mondiale come leader spirituale e politico dei tibetani. Il Dalai Lama fino ad ora non si è espresso. Attende che l’indicazione dell’assemblea giunga sul suo tavolo per l’approvazione. Il 73enne Premio Nobel per la Pace non ha neanche partecipato ai lavori, per non condizionarli con la sua presenza, visto che era in discussione non la sua persona, ma la sua politica. L’assemblea ha peraltro rigettato ogni idea di sue dimissioni, ribadendo fiducia nell’operato di un leader che gode dell’appoggio morale di molti capi di stato e di governo oltre che di persone comuni in ogni parte del pianeta.
Il Dalai Lama intanto ritira ogni proposito di dimissioni. Lo ha annunciato personalmente ai cronisti il capo spirituale dei tibetani in esilio, a margine di una conferenza sul meeting speciale dei tibetani di tutto il mondo conclusosi ieri a Dharamsala, nel nord dell’India. L’assembla aveva ribadito la sua fiducia nel leader spirituale e alla sua politica della «via di mezzo» nei confronti dei cinesi, non abbandonando però l’ipotesi dell’indipendenza da Pechino se la politica attendista del Dalai non desse risultati. Il leader, invece, ha respinto stamattina ogni idea di richiesta di indipendenza, giudicata «impraticabile».
La comunità tibetana è «in grave pericolo» avverte il Dalai Lama, aggiungendo di aver perso tutta la fiducia nelle autorità cinesi dopo il fallimento di anni di negoziati sullo statuto del Tibet. «Negli ultimi tempi ho perso sempre di più la fiducia nelle autorità cinesi», ha detto il leader tibetano intervenendo alla chiusura dell’assemblea sul futuro del Tibet, convocata dal Dalai Lama a Dharamsala, in India, sede del governo tibetano in esilio. «Nei prossimi vent’anni dovremo fare molta attenzione alle nostre azioni e alla nostra strategia, perché la comunità tibetana è in grave pericolo», ha aggiunto.