Dharamsala, 13 marzo 2012. Il 10 marzo, giorno del 53° anniversario dell’insurrezione di Lhasa, un altro giovanissimo monaco tibetano si è auto immolato a Ngaba. Gepey, diciotto anni, appartenente al monastero di Kirti, si è dato fuoco alle ore 17.00, ora locale, nelle vicinanze di un campo militare che dagli anni ’50 del secolo scorso ospita i soldati del cosiddetto esercito di liberazione. Il ragazzo è morto all’istante.
Data la prossimità della guarnigione militare, l’arrivo dei soldati è stato immediato. Il corpo carbonizzato di Gepey è stato portato all’interno del campo e solo il giorno successivo è stato riconsegnato alla famiglia che ne aveva con forza reclamato la restituzione. La cremazione, per volere delle autorità cinesi è stata compiuta la sera stessa. Nel timore che un massiccio assembramento di tibetani avrebbe potuto scatenare nuove proteste, a solo a cinque persone è stato consentito di assistere alla frettolosa cerimonia funebre. La madre di Gepey è stata a lungo interrogata dalla polizia.
Gepey è il terzo tibetano che si immola nei pressi di un edificio governativo, simbolo dell’occupazione del Tibet. Prima di lui, Dorjee, il 5 marzo, si era dato fuoco camminando nella direzione della locale sede del governo e Rinchen, il 4 marzo, si era immolata di fronte alla speciale stazione di polizia posta di fronte all’ingresso principale del monastero di Kirti. A causa dei rigidissimi controlli su tutti i mezzi di comunicazione, i tibetani della regione hanno appreso la notizia di questa nuova auto immolazione, la ventisettesima dal 2009 e la quattordicesima solo quest’anno, solo due giorni dopo, il 12 marzo. Riferisce The Telegraph che una dipendente del locale ufficio di propaganda del Partito comunista ha negato di essere al corrente dell’accaduto. Non hanno voluto rispondere sia i funzionari di polizia sia quelli del Partito. Qualcuno ha risposto al telefono all’interno del monastero di Kirti ma ha immediatamente riagganciato quando gli sono state notizie riguardanti le auto immolazioni.
Da Dharamsala, il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia ha reso noto che molti monasteri sono stati obbligati a devolvere l’amministrazione e la gestione degli istituti monastici ai gruppi di lavoro del Partito comunista. In segno di protesta i monaci hanno lasciato i monasteri. “Esasperati dalle prolungate sessioni di ri-educazione patriottica e dai continui interrogatori circa i loro presunti contatti con i tibetani in esilio, i monaci, dopo l’ultimo sopruso – la forzata gestione dei monasteri da parte di funzionari del Partito – hanno deciso di andarsene”. Così recita un comunicato stampa rilasciato in data odierna da TCHRD.
Un segnale positivo da New York
A New York un segnale positivo è arrivato ai tre digiunatori dalle Nazioni Unite. Al 20° giorno dello “sciopero della fame per il Tibet”, davanti al quartier generale delle Nazioni Unite a New York, l’Assistente al Segretario Generale per i Diritti Umani, Ivan Simonovic, ha invitato formalmente nel suo ufficio il Presidente del Tibetan Youth Congress, Tsewang Rinzin, per discutere sulla situazione in Tibet e lo sciopero della fame davanti all’ONU.
Durante l’incontro il presidente del TYC ha descritto con fermezza e in modo dettagliato la terribile situazione in Tibet che, in una situazione di legge marziale di fatto, ha causato le auto immolazioni di ventisette tra monaci e monache. Ringzin ha affermato che “i tre digiunatori sono disposti a digiunare fino all’ultimo respiro nell’attesa che il Segretario Generale dell’ONU risponda al loro appello in 5 punti”. “Quando i Tibetani in Tibet compiono il sacrificio estremo” – ha aggiunto – “lo fanno nella speranza che le Nazioni Unite e la comunità internazionale diventino la loro voce”. L’Assistente al Segretario Generale ha promesso di contattare, subito dopo l’incontro, il Segretario Generale dell’ONU e il Commissario per i Diritti Umani. Ha inoltre visitato il luogo dello sciopero della fame per controllare lo stato di salute dei digiunatori ed esprimere loro la sua profonda preoccupazione.
Da New York la corrispondenza di Piero Verni
New York, 12 marzo 2012
Oggi la primavera è finalmente scoppiata a New York e il vento gelido che sffiava su Manhattan fino a poche ore fa si è trasformato in una piacevole, tiepida, brezza. E con il miglioramento del clima sembrerebbe arrivata anche la prima buona notizia, per quanto non ancora confermata ufficialmente. Ho saputo da una fonte estremamente attendibile che il peggioramento della salute dei tre digiunatori e la crescente attenzione dei media verso questa protesta stanno creando non poco imbarazzo ai piani alti delle Nazioni Unite. In modo particolare alcuni componenti della Commissione per i Diritti Umani premerebbero perché si invii ai digiunatori almeno un segnale che le loro domande sono prese in seria considerazione. Come scrivevo ieri, la possibilità di trovarsi sul portone di casa e sotto i riflettori dei media uno o più Bobby Sands tibetani, non appare entusiasmante agli occhi della Presidenza delle Nazioni Unite. Vedremo nelle prossime ore se, ed eventualmente in che misura, queste indiscrezioni saranno confermate. Ma certo la breve e non ufficiale visita fatta questa mattina ai digiunatori da Ivan Simonovic, un collaboratore del Segretario Generale dell’ONU, sembrerebbe confermare un crescente disagio all’interno almeno di alcuni settori delle Nazioni Unite. Dopo la visita ai tre digiunatori Simonovic ha inoltre invitato nel suo ufficio il Presidente del Tibetan Youth Congress, Tsewang Ringzin, per discutere della situazione in Tibet e della continuazione dello sciopero della fame.
Tornando a questo 20° giorno di Hunger Strike c’è da segnalare la piacevole sorpresa di un gruppo di dissidenti cinesi che si sono raccolti a pochi metri dal presidio per protestare contro il regime cinese e l’oppressivo ruolo del Partito Comunista in Cina. In particolare i dimostranti chiedevano la liberazione dell’avvocato Zhisheng Gao arrestato tre anni fa per aver difeso un membro del gruppo spirituale Falun Dafa e poi scomparso nel gorgo del Laogai, il sistema concentrazionario di Pechino. L’aspetto interessante di questa presenza cinese di fronte al Palazzo di Vetro, è l’estrema simpatia che tutti i cinesi hanno dimostrato nei confronti dei digiunatori tibetani. Simpatia resa ancor più evidente da un prolungato coro di “Free Tibet! Free Tibet!” che l’intero gruppo ha scandito più volte prima di dare vita a una sorta di conferenza all’aperto in cui hanno esposto le ragioni della loro lotta. Non vorrei sembrare retorico ma vedere il responsabile di questo gruppo abbracciarsi con il Presidente del Tibetan Youth Congress e rendere omaggio ai digiunatori, è stato proprio un bello spettacolo.
Le immagini della giornata al sito:
New York, 13 marzo 2012
In una New York afosa e già dimentica del gelo dei giorni precedenti, c’era molta speranza oggi al presidio dei digiunatori che le novità di ieri potessero essere confermate da qualche altra buona notizia. Ma non è successo nulla e a questo proposito in una breve intervista che Tsewang Ringzin mi ha rilasciato questa mattina il Presidente del TYC ha tenuto a specificare che è bene non lasciarsi andare a eccessivi ottimismi per non rimanere poi delusi. Ieri c’è stato un primo, timido passo verso uno sblocco della situazione e dobbiamo stare a vedere se e come si procederà oltre. Adesso è comunque troppo presto per avanzare qualsivoglia ipotesi.
La vita al presidio è tornata quindi alla “normalità” dopo la concitazione del 10 marzo e le emozioni di ieri. Nel pomeriggio sono venuti a fare visita ai digiunatori diversi tibetani tra i quali due figure di spicco dgli Students for a Free Tibet, la ex presidente storica Lhadon e l’attuale presidente Tandor. Entrambi si sono fermati a parlare con i tre e hanno portato il saluto e la solidarietà della loro organizzazione.
Vedremo domani se dall’ONU verrà qualche ulteriore apertura. C’è da augurarselo perché saremo al 22° giorno di digiuno e la situazione si fa di ora in ora più critica.
Il video al sito:
Piero Verni (www.freetibet.eu)