TIBET: UNA SETTIMANA DI FIAMME E MORTE

29 ottobre 2012. Quattro auto immolazioni nell’arco di due giorni, sette dal 20 al 26 ottobre: questo il doloroso bilancio della settimana che si è appena conclusa. Sabato 20 ottobre si è immolato Lhamo Kyab; il 22 ottobre Dhpndup; il 23 è giunta notizia del supremo sacrificio di Dorjee Rinchen seguita da quella della morte di Lhamo Tseten, immolatosi venerdì 26 ottobre. In una sconcertante e drammatica sequenza, si sono immolati altri tre tibetani, Tsewang Kyab (lo stesso 26 ottobre) e due cugini, Tsepo e Tenzin, del cui atto di estrema protesta, avvenuto il 25 ottobre, siamo venuti a conoscenza solo due giorni dopo. Quattro casi di autoimmolazione in due giorni, sette dal 20 al 26 ottobre.

Tsewang Kyab, ventuno anni, si è dato fuoco il 26 ottobre a Labrang, contea di Sangchu. E’ deceduto sul luogo della protesta. Prima di cadere a terra, ha gridato slogan a favore del ritorno del Dalai Lama, della liberazione del Panchen Lama e degli altri prigionieri politici. La sua morte ha preceduto di poche ore quella di Lhamo Tseten, ventiquattro anni, che si era dato fuoco lo stesso giorno nelle adiacenze del tribunale di Amchok.

Due giovani cugini, Tsepo e Tenzin (rispettivamente di venti e venticinque anni), si sono immolati con il fuoco il 25 ottobre nelle vicinanze di un edificio governativo nel villaggio di Nagrog Thampa, Contea di Driru, prefettura di Nagchu, a nord di Lhasa. La notizia del loro gesto è arrivata soltanto due giorni dopo a causa delle intimidazioni, dirette e indirette, cui sono sottoposti i tibetani a Driru. Sembra che Tsepo sia deceduto sul luogo della protesta. Tenzin è nelle mani dei funzionari governativi: non si conosce il luogo in cui è stato portato né sono note le sue condizioni.

I due cugini si sono immolati chiedendo l’indipendenza del Tibet, il ritorno del Dalai Lama ed esortando tutti i compatrioti a restare uniti come fratelli e sorelle. Scrive Stephanie Brigden, direttore di Free Tibet, che in tutto il Tibet la Cina ricorre all’uso della forza e all’intimidazione per soffocare le invocazioni alla libertà dei tibetani e imbavagliare l’informazione e gli appelli alla protesta ponendo in atto, tra l’altro, misure mirate a dividere i tibetani e metterli uno contro l’altro.

Fonti: Free Tibet – Phayul