11 febbraio 2013. Nel tentativo di sottrarsi alla responsabilità di essere alla causa dell’ondata di autoimmolazioni che recentemente hanno infiammato il Tibet, il governo cinese sta reagendo con arresti di massa e con una massiccia campagna che dipinge i tibetani come “criminali” e “fanatici religiosi”. Nelle ultime due settimane le autorità cinesi hanno arrestato, nella sola regione di Malho, almeno settanta tibetani, hanno condannato a morte Lorang Konchok, un monaco di 41 anni, e hanno condannato a pene detentive di varia durata altre dodici persone.
E’ del giorno 8 febbraio la notizia, diffusa dall’agenzia di stato cinese Xinhua, dell’arresto a Malho di settanta tibetani, “sospetti criminali”, accusati di aver istigato le immolazioni avvenute a partire dal novembre 2012. Riferisce l’agenzia che Liu Benqiang, il capo del team che sta investigando sui casi di autoimmolazione, ha accusato “la cricca del Dalai Lama” di “avere organizzato le proteste e di aver persuaso i tibetani a darsi fuoco”. “Informazioni e foto delle vittime sono state inviate all’estero per pubblicizzare le immolazioni” – afferma nel suo rapporto il funzionario. “Alcuni degli auto immolati erano persone frustrate, con una visione pessimistica della vita, che volevano guadagnarsi considerazione e rispetto attraverso l’autoimmolazione”.
Tra gli arrestati figura Phagpa, un tibetano ventisettenne di Dowa, regione di Rebkong, condannato a 13 anni di carcere per aver partecipato ai funerali di sei auto immolati, aver aiutato economicamente le loro famiglie e aver incitato all’indipendenza diffondendo idee separatiste. Il tribunale del popolo della prefettura autonoma tibetana di Huangnan ha accusato Phagpa di “omicidio intenzionale” e di “incitamento alla divisione dello stato”. E’ stato inoltre ritenuto colpevole di aver “indottrinato” Dolma Kyab, un monaco del monastero di Dowa arrestato il 19 novembre 2012 perché trovato in possesso di benzina, e di averlo convinto ad auto immolarsi per “la libertà e l’indipendenza della minoranza etnica tibetana”. Nella sua relazione, il funzionario cinese afferma che Phagpa ha “riconosciuto il suo errore” e non ricorrerà in appello. (Nella foto Phagma e Dolma Kyab in tribunale)
Il 6 febbraio la televisione cinese ha mandato in onda un servizio di 25 minuti in cui i tibetani, usati come strumento di contro informazione, affermano che coloro che si sono auto immolati hanno compiuto il loro gesto perché convinti dai tibetani all’estero o perché semplicemente desiderosi di diventare “eroi”. Il video, ovviamente, non fa menzione dei tibetani che, prima di darsi fuoco, hanno scritto di loro pugno di voler morire per la libertà del loro paese, come atto di resistenza politica contro la repressione cinese in Tibet. Il video sarà trasmesso anche in lingua Russa, araba e francese.
Il 7 febbraio, Victoria Nuland, portavoce del Dipartimento di Stato americano, ha criticato la mancanza di volontà del governo di Pechino di prendere in considerazione le vere cause delle autoimmolazioni e la decisione di applicare alle stesse la legge sulle attività criminali. La signora Nuland ha ribadito che l’amministrazione USA continua a chiedere alla Cina di consentire ai tibetani di esprimere il loro dissenso in modo pacifico, pubblicamente, liberamente e senza paura di ritorsioni. Ha inoltre sollecitato il governo cinese al dialogo, senza pre-condizioni, con il Dalai Lama o con i suoi rappresentanti.
Fonti: Phayul – Students for a Free Tibet – The Tibet Post