22 maggio 2013. Entrato in Tibet con un visto di sette giorni, Cyril Payen, corrispondente dell’emittente francese France 24, è recentemente riuscito ad arrivare a Lhasa e a documentare in un breve filmato alcuni momenti della vita di tutti i giorni nella capitale tibetana e a scambiare alcune battute con due tibetani. Alcune immagini mostrano l’area attorno al Barkhor e i lavori in corso per la realizzazione del centro commerciale. Proponiamo ai lettori, assieme al video, la traduzione dell’audio del filmato.
L’audio:
Otto mesi per ottenere il visto e quarantotto ore di treno: questo è il tempo che ci è voluto per entrare in Tibet. Viaggiando per 3600 chilometri, a un’altezza di 4000 metri, abbiamo raggiunto Lhasa assieme ai 2500 turisti e migranti cinesi che ogni giorno entrano nella città degli dei. Dalla rivolta del 2008, le autorità cinesi hanno imposto a Lhasa severe limitazioni all’ingresso dei turisti stranieri, i giornalisti sono messi al bando. Quando arrivi a Lhasa è come entrare in un mondo di sorveglianza Orwelliana, come in una città sotto occupazione, con migliaia di militari, le telecamere della CCTV, le ispezioni di polizia, le perquisizioni. Questa è la vita di tutti i giorni per i tibetani. Nonostante i gravi rischi, due attivisti tibetani hanno accettato di incontrarmi in un mercato affollato per qualche scambio di battute.
Payen, rivolto a una tibetana: Pensi di avere libertà qui?
Risposta: No, no, oggi non abbiamo né libertà né diritti umani. Credo nel Buddismo, considero il Dalai Lama come il nostro sole, ma non possiamo dirlo perché se lo diciamo saremo messi in carcere.
In prigione o fuori, ci si chiede se questo possa fare la differenza per questi tibetani e per un’antica cultura nel cuore dell’Himalaya. Questo luogo (cammina nell’area del Barkhor) è uno dei più sacri del Tibet, è il cuore spirituale del paese, il monastero del Jokhang. Per secoli i pellegrini si sono riuniti qui. Adesso il governo cinese sta costruendo in quest’area un centro commerciale completato da un parcheggio sotterraneo. Fu qui che un anno fa, per la prima volta nella capitale, due ex monaci si dettero fuoco come estremo atto di resistenza. Negli ultimi tre anni in Tibet ci sono state 127 immolazioni, tutte in segno di protesta contro la politica cinese.
Il sacro è ovunque in Tibet e i monaci, nella società, sono considerati le massime autorità. Ed è per questo che sono nel mirino del governo cinese che vorrebbe confinarli in un ruolo puramente di facciata.
Payen, rivolto a un tibetano: Cosa pensi dei cambiamenti a Lhasa?
Risposta: Non è consigliabile andare in giro, dimostrare, ci sono molti controlli e perquisizioni.
Cinquant’anni fa i monaci costituivano il 30% della popolazione maschile tibetana, oggi sono soltanto 30.000.
Un monaco tibetano: Tutto ciò che vogliono è portare i turisti cinesi nei nostri templi e il danaro è per il governo, non per i tibetani.
Oltre al proposito di raggiungere, entro l’anno, il numero di dieci milioni di turisti, la Cina ha altre nascoste ambizioni riguardo al Tibet. Ambizioni più cinesi che tibetane che prevedono l’arrivo di decine di migliaia di migranti da tutta la Cina.
Un cinese: Ho lavorato a Lhasa per tre anni, nel settore delle costruzioni…
Payen: E perché sei qui, nel tempio?
Cinese: Non si può mai dire…
E’ difficile prevedere cosa sarà il Tibet tra dieci anni dal momento che subisce una dura repressione, l’assimilazione culturale e l’occupazione militare. L’unica certezza è che il Tibet è l’ombra di quello che era una volta.
Il filmato, della durata di circa quattro minuti, al sito:
Segue un’intervista a Nicholas Baquelin, rappresentante di Human Rights Watch a Hong Kong, della quale diamo un breve riassunto.
Rispondendo alle domande rivoltegli dallo studio, Baquelin afferma che, dopo le manifestazioni pacifiche dei tibetani, la Cina vuole sradicare totalmente ogni supporto al Dalai Lama. Oggi i tibetani si trovano a dover affrontare questo problema: subire la repressione per raggiungere uno scopo altamente improbabile. Ora i cinesi, piuttosto che sradicarla, stanno cercando di rimodellare la cultura tibetana in modo da renderla inoffensiva per lo stato. Del resto, anche alcuni tibetani desiderano la modernizzazione del paese, ma è un equilibrio difficile da stabilire, la cultura tradizionale è sul punto di essere annientata. Americani e francesi hanno cercato di modernizzare il Vietnam e l’Algeria e gli stessi cinesi stanno investendo molto denaro in Tibet. Ma i tibetani vogliono la libertà, non solo il progresso economico. Tra le nazioni europee vi è un’assoluta mancanza di coordinamento circa il problema del Tibet. Sarkosy e la Merkel hanno in contrato il Dalai Lama ma lo hanno fatto dietro pressioni sia interne sia internazionali e per il governo cinese è stato facile porre in atto una sorte di ricatto nei loro confronti. Sarebbe necessario un coordinamento tra gli stati europei. Ovviamente nessun governo vuole che gli sia detto chi deve o non deve incontrare e, d’altro canto, è impossibile affrontare in modo razionale con la Cina il problema del Tibet. Non resta che caldeggiare un dialogo diretto tra la Cina e i tibetani.
Fonte: France24.com