Le competenze di una nuova autonomia
La lingua (non la religione) è definita subito l’attributo più importante dell’identità tibetana. Una lingua di antica origine, il veicolo della sua spiritualità, una lingua di pari rango con il Sanskrit, dotata di una ricca letteratura. Quindi, la lingua principale di tutti i territori autonomi tibetani dovrà essere la lingua tibetana, un principio espresso nella stessa Cost (art. 121) e nella LARN (art. 10). Di riflesso, il governo autonomo dovrà poter decidere sulle lingue di insegnamento nel sistema scolastico autonomo.
Vari articoli sia della Cost. sia della LARN ribadiscono il diritto delle minoranze nazionali di difendere la loro cultura. Il Tibet, che non si percepisce una mera “minoranza”, per continuare ad esistere come popolo culturalmente distinto, ha bisogno di norme costituzionali specifiche che garantiscano le sue specificità. La religione buddhista è inseparabile dalla cultura tibetana, si riconosce però l’importanza della separazione fra chiesa e stato, senza pregiudicare i diritti di libertà del culto. La libertà di espressione e del culto ha un significato particolare per i tibetani, si afferma nel Memorandum; e sarebbe compatibile con la Cost. cinese che all’art. 36 riconosce il diritto all’esercizio della religione e vieta ogni discriminazione per motivi religiosi. Questo principio rinchiude anche il diritto dei monasteri buddhisti di gestire autonomamente i propri monasteri, di accogliere liberamente nuovi monaci, di organizzare l’insegnamento senza nessuna ingerenza statale nel rapporto fra monasteri e monaci, e fra maestri e discepoli, e nessun interferenza nel riconoscimento delle reincarnazioni.
Nell’educazione, di nuovo non si chiede altro che coerenza con la Cost., che all’art. 119 afferma: “Gli organi di autogoverno delle aree nazionali autonome gestiscono indipendentemente i loro affari educativi nelle rispettive aree”, principio ripreso nell’art. 36 della LARN. Si sottolinea che i tibetani hanno bisogno di una genuina autonomia nella politica scolastica per poter preservare la loro identità.
Particolare importanza il Memorandum ascrive anche alla tutela dell’ambiente e all’utilizzo delle risosre naturali. Il tradizionale ambiente naturale del Tibet avrebbe già subito dei danni irreparabili, arrecati alle foreste, alle risorse idriche, alle steppe, alla fauna dell’altipiano. Tutte le competenze sarebbero da attribuire al governo autonomo. Non a caso la LARN è particolarmente vaga e restrittiva nella definizione dei diritti delle entità autonome sulle risorse naturali, non definndo chiari limiti all’intervento dello Stato centrale nello “sfruttamento razionale delle risorse”. Un aggancio importante in questo contesto è la proprietà della terra: “Solo la nazionalità titolare della regione autonoma deve avere l’autorità di regolamentare il trasferimento e l’affitto dei terreni, ad eccezione dei terreni demaniali. La regione autonoma dovrebbe aver la piena competenza di formulare ed applicare i suoi piani di sviluppo, integrando i piani statali.” Quindi, in via di principio sia la Cost. (art. 118), sia la LARN (art. 25) riconoscono il diritto delle autorità autonome di gestire il loro sviluppo economico, l’autonomia finanziaria e la possibilità di svolgere scambi commerciali trasnfrontalieri con i paesi vicini (in pratica l’India, il Nepal, ed il Bhutan), il problema sta nell’effettiva applicazione che va regolamentata in maniera diversa.
Anche la politica sanitaria, di principio, secondo la Cost. (art. 119) e la LARN (art. 40), rientra nelle competenze delle entità autonome, permettendo decisioni per sviluppare i servizi medici e sanitari, abbinando la medicina moderna a quella tradizionale. Oggi il sistema sanitario pubblico in Tibet non coprirebbe i bisogni della popolazione rurale, per cui un governo realmente autonomo dovrà poter disporre sia delle risorse sia delle competenze per garantire il servizio su tutto il territorio, rispettando anche la medicina tradizionale tibetana.
Materia molto sensibile sono la sicurezza e l’ordine pubblico ed il controllo dei flussi migratori. I tibetani denunciano l’assenza di un’autorità locale di polizia, diretta da ufficiali pubblici tibetani. Ma su questo sia la Cost. sia la LARN pongono limiti molto stretti. Sta sotto gli occhi di tutti che una minoranza nazionale è minacciata, se non ci sono limiti di afflusso di persone non residenti e alla libertà di insediamento della popolazione maggioritaria dello Stato. Perciò, i tibetani pretendono che la Cost. rispetti integralmente il diritto delle nazionalità minoritarie all’autonomia laddove questa comunità abita in forma compatta un determinato territorio. I movimenti migratori, pilotati dall’alto a scopi politici, si trovano in assoluto contrasto con il dettato della Cost e andrebbero controllati dalle autorità autonome. L’argomentazione tibetana è coerente, ma gia in altri casi, come quello del Turkestan orientale (Xinjiang, in cui gli Uiguri autoctoni sono stati trasformati in minoranza) la Cina ha dimostrato di infischiarsi dei precetti costituzionali. Il governo autonomo, si propone quindi, deve poter regolamentare la residenza, l’impiego ed il mercato del lavoro, l’attività economica indipendente di persone provenienti da fuori. Ma non si intende di espellere i cinesi che già si sono stabilmente insediati nel Tibet, si sottolinea nel memorandum.
Un Tibet autonomo su tutto il territorio tibetano
Per poter efficacemente promuovere e preservare la loro identità e spiritualità, i tibetani devono poter vivere in un unico territorio, governato secondo le stesse regole di autonomia territoriale. Riunire tutte le aree tibetane attualmente titolari di un’autonomia di vario livello, sarebbe previsto anche dall’art. 4 della Cost. e dall’art. 2 della LARN, argomentano i tibetani, che prevedono che “l’autonomia regionale è praticata nelle aree dove le minoranze nazionali vivono in comunità concentrate.” Un effettivo autogoverno può esplicarsi solo attraverso organi di autogoverno competenti per tutta la nazionalità tibetana come tale. Perciò anche la LARN ammette la possibilità di modificare confini delle unità territoriali esistenti, operazioni già avvenute nel passato.
Democrazia ed autonomia
Il diritto dei tibetani ad un’autonomia genuina non sarebbe rispettata, se non fosse dotata d organi rappresentativi effettivamente autonomi, cioè un Congresso del popolo regionale con effettivi poteri legislativi, ed un governo regionale dotato del potere di applicare le leggi approvate all’interno dell’autonomia. Il Memorandum non si esprime sul modo di eleggere questo organo, rinunciando quindi ad un esplicito concetto di “Uno Stato – due sistemi” sul modello di Hong Kong.
Molto più attenzione è dedicato alle garanzie costituzionali affinché le norme sulla nuova autonomia non vengano unilateralmente modificate. La nuova autonomia del Tibet, una volta codificata nella Cost cinese ed all’interno di una legge statale specifica, andrebbe applicata con apposite ‘norme di attuazione’, una procedura che ricorda l’applicazione delle autonomie speciali in Italia.
Tuttavia, restano dei problemi di difficile risoluzione nel quadro giuridico cinese. In generale, le competenze legislative delle regioni autonome della Cina non solo sono troppo limitate, ma non c’è neanche chiarezza nella divisione delle competenze, e troppa ingerenza da parte dello Stato centrale nelle competenze regionali. Se da una parte la Cost. riconosce il particolare diritto delle regioni ad autogovernarsi tramite una legislazione autonoma in numerosi settori, l’art. 116 Cost. dispone il contrario: questo articolo, infatti , prevede che il massimo livello del Governo centrale – Il Comitato permanente del Congresso Nazionale del Popolo – abbia l’ultima parola su ogni atto di legislazione autonoma. È significativo che tale autorizzazione centrale – una specie di veto e visto governativo – sia previsto solo per le regioni autonome, non invece per le province ordinarie della Cina. In aggiunta, l’esercizio dell’autonomia regionale è sottoposto a numerose leggi e regolamenti speciali (art. 115 Cost), che ne limitano la portata e si contradicono. Quindi l’assetto giuridico odierno è poco chiaro, e l’autonomia può essere liberamente modificata con la modifica di leggi statali di settore e altri regolamenti centrali. Non esiste neanche un meccanismo di consultazione della rappresentanza popolare della regione autonoma colpita da nuove misure né commissioni permanenti per dirimere eventuali conflitti fra Pechino ed una regione autonoma. Ne risulta una situazione giuridica poco chiara, in cui prevalgono i poteri dello Stato, liberamente gestiti dalla parallela struttura di potere, cioè quella del partito. Il memorandum del governo tibetano in esilio si guarda però di contestare il ruolo del partito comunista ed il carattere non democratico dello stato cinese in quanto tale, immaginando invece di poter istituire un’autonomia genuina nell’ambito costituzionale cinese e quindi nel sistema politico della RPC odierna
Non tutti i tibetani ritengono possibile.una tale riforma autonomista. Uno studioso tibetano, Wangchuk Shakapa, ad esempio, commenta che altre norme della Cost cinese lasciano apparire illusorie le proposte per un’autonomia genuina. L’art. 4 afferma: “Ogni atto che minaccia l’unità delle nazionalità o istiga alla secessione è proibito.” L’interpretaione di questa frase è lasciata libera alle istanze centrali del Partito e dello Stato. Anche chiedere democrazia per il Tibet o rivendicare il rispettso di tutti i diritti umani potrebbero essere facilmente interpretati di questa maniera e quindi dar luogo ad un intervento dello Stato centrale in forma arbitraria. La Cost. art. 51 afferma: “L’esercizio da parte dei cittadini della RPC delle loro libertà e dei loro diritti non deve contrastare gli interessi dello Stato, della società e della collettività…” Questa frase sta a dire, commenta Shakapa, che gli interessi dello Stato sono comunque sovraordinati ai diritti individuali. Qualora lo Stato o il partito ritenessero che un discorso, una religione o un atto non si trovino in armonia con gli interessi dello Stato, potrebbero bandirlo in base a tale norma costituzionale. La Costituzione della RPC certamente con è una costituzione modello e sarebbe difficile immaginarsi un Tibet democratico sotto questa Costituzione. Istituisce uno stato, cosí Shakapa, in cui prevalgono gli interessi dello Stato sui diritti dei singoli, per non parlare dei diritti di entità autonome. Un’effettiva autonomia, invece, in queste condizioni non è praticabile, non a caso afferma l’art. 5 della LARN: “Organi autonomi nelle aree etniche autonome devono sostenere l’unità del paese e garantire che la Costituzione e le altre leggi siano rispettate.” L’art. 7 della stesse legge: “Le istituzioni di autogoverno in aree etniche autonome devono anteporre gli interessi dello Stato ad ogni altro interesse e devono attivamente espletare ogni obbligo attribuitogli dalle istituzioni statali di livello superiore.”
Tirando le somme, il memorandum del Governo tibetano in esilio, pur troppo fiducioso delle possibilità offerte dall’ordinamento giuridico cinese, era più che doverosa come proposta diretta al Governo cinese. Sta a testimoniare che la popolazione del Tibet in generale accetterebbe l’assetto generale dello stato cinese a patto di ottenere un’autonomia effettiva, compatibile ocn la Costituzione. Quindi i tibetani in esilio si immaginano una situazione di autonomia accettabile, sicura, e sostenibile, che non debba necessariamente dirompere la struttura fondamentale dello Stato cinese, tant’e vero che non si richiede neanche un altro sistema politico all’interno del Tibet, ma solo un deciso riassetto del rapporto fra il Tibet quale regione autonoma e lo Stato centrale cinese. Come sappiamo, il governo cinese dopo l’ottavo giro di consultazioni fra tibetani e cinesi tenuto a novembre, ha spazzato via anche questa proposta moderata, chiudendo per ora il discorso su una nuova autonomia. Ma il mondo una volta in più si è visto confermato che i tibetani hanno in mente un progetto politico tutt’altro che secesionista, ma moderato, realista e in linea con lo spirito della Costituzione cinese e con il concetto di autonomia regionale funzionante in più di 20 paesi del mondo, Italia inclusa.
Thomas Benedikter
Ricercatore presso l’Accademia Europea di Bolzano EURAC
È, tra altre opere, autore del volume “The World’s Working Regional Autonomies”, ANTHEM Press, Delhi/Londra 2007, un’analisi comparata di tutte le autonomie territoriali del mondo.