Dharamsala, 16 settembre 2013. Pene detentive di lunghezza compresa tra i 3 e 4 anni sono state inflitte a tre monaci tibetani, arrestati tra il mese di ottobre e quello di dicembre 2012 e tenuti in isolamento dal momento della loro detenzione. Si tratta di Sonam Gonpo (22 anni), Sonam Chedar (22 anni) e Choedar (47 anni), originari del villaggio di Wonpo, situato nella Contea di Karze, regione del Kham. I primi due sono stati condannati a quattro anni di carcere, il terzo dovrà scontarne tre.
I tre monaci (nella foto) figuravano tra le molte persone arrestate tra il 15 e il 25 ottobre 2012 in seguito alla rimozione, il 7 settembre, della bandiera cinese da una scuola governativa di Wonpo e della sua sostituzione con una bandiera tibetana. Lo stesso episodio si era verificato il 4 febbraio 2012, il giorno successivo a tre casi di autoimmolazione avvenuti nella zona, quando i tibetani avevano rimosso il vessillo cinese da un edificio governativo. Sebbene non siano state rese note le ragioni della condanna inflitta ai tre monaci, il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia ritiene che la sentenza sia da porre in relazione a questo episodio.
Il giorno 11 settembre è giunta notizia dell’arresto di Dayang, un tibetano di 64 anni, incarcerato per aver gridato slogan inneggianti all’indipendenza del Tibet e alla lunga vita del Dalai Lama. L’uomo, duramente picchiato prima dell’arresto, è originario della Contea di Driru, nel Tibet orientale. Non si hanno sue notizie dal giorno 9 settembre. Oltre mille funzionari cinesi provenienti dalla “Regione Autonoma Tibetana” sono stati inviati nella Contea di Driru per sovraintendere alle sessioni di “ri-educazione patriottica”.
Il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia ha reso noto in data odierna che il governo cinese ha inasprito le misure repressive nei confronti degli artisti e degli intellettuali tibetani all’interno di una strategia mirante all’annientamento della lingua e della cultura del Paese delle Nevi. Tsering Tsomo, direttore esecutivo del TCHRD ha affermato che è in atto un attacco alla libertà di espressione e di opinione del popolo tibetano. Tsering Tsomo ha fatto esplicito riferimento ai casi di Shawo Tashi, cultore della musica tradizionale tibetana, arrestato lo scorso mese, dello scrittore Gangkye Drupa Kyab, imprigionato con l’accusa di essere coinvolto in attività politiche, e di Kelsang Yarphel, noto come “l’usignolo del Tibet”, arrestato durante un concerto per aver cantato la canzone “Bodhpa Tso” (“Fratelli tibetani”), ritenuta “politicamente sovversiva”.
Il 13 settembre, da Vilnius, in Lituania, il Dalai Lama ha affermato che “la linea dura adottata dai cinesi è completamente fallita” e che “i leader cinesi stanno ora tentando un approccio più realistico”. “Sono ottimista”, ha aggiunto, citando, tra i segnali del cambiamento, il fatto che un numero sempre maggiore di intellettuali e buddisti cinesi esprimono crescente solidarietà alla causa tibetana.
Fonti: Tibet Post – Phayul – Daijiworld.com