13 novembre 2013. A nulla sono serviti gli appelli, il milione di firme raccolte attraverso il network Avaaz e, soprattutto, la morte di un altro giovane tibetano. Con il voto favorevole di 176 stati votanti su un totale di 193 aventi diritto, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, riunita ieri, 12 novembre, si è espressa con voto segreto a favore delle rielezione della Cina al Consiglio ONU per i Diritti Umani, l’organismo responsabile della promozione e della protezione dei diritti umani nel mondo.
La confermata presenza della Cina tra i 47 stati membri dell’UNHRC ha provocato sdegno e preoccupazione tra quanti si battono a difesa dei diritti umani e tra i sostenitori della causa tibetana.
Tra i 14 stati eletti al loro primo mandato o chiamati a ricoprire la carica per il secondo triennio (gli stati sono rieleggibile ad eccezione di quelli eletti per due consecutivi mandati di tre anni) figurano la Federazione Russa (con 176 voti, come la Cina) e l’Arabia Saudita (140 voti). Francia e Regno Unito hanno rispettivamente ottenuto 174 e 171 voti. Entrano a far parte del Consiglio per i Diritti Umani Algeria, Cuba, Maldive, Messico, Marocco, Namibia, South Africa, la Repubblica di Macedonia e Vietnam che opereranno per tre anni all’interno del Consiglio con decorrenza dal 1°gennaio 2014. Namibia, Macedonia e Vietnam siederanno a Ginevra per la prima volta. Continueranno a far parte dell’organismo ONU Argentina, Austria, Benin, Botswana, Brasile, Burkina Faso, Cile, Congo, Costa Rica, Costa d’Avorio, Repubblica Ceca, Estonia, Etiopia, Gabon, Germania, India, Indonesia, Irlanda, Italia, Giappone, Kazakhstan, Kenya, Kuwait, Montenegro, Pakistan, Peru, Filippina, Corea, Romania, Sierra Leone, Emirati Arabi, Stati Uniti e Venezuela.
Lascia sgomenti la concomitanza della rielezione della Cina al Consiglio ONU per i Diritti Umani con la morte in Tibet di Tsering Gyal, il monaco ventenne del monastero di Akyong, nella Contea di Golok Pema, nella regione dell’Amdo, che si è dato fuoco il tardo pomeriggio dell’11 novembre in segno di protesta contro l’occupazione del suo paese e gli abusi perpetrati dal governo di Pechino. Trasportato all’ospedale di Xiling dagli agenti di pubblica sicurezza subito accorsi sul luogo dell’immolazione, è deceduto la sera stessa, attorno alle 22.00. Queste le sue ultime parole: “Oggi mi sono autoimmolato per l’unione di tutti i tibetani. Le mie sole speranze sono l’unità dei tibetani e la preservazione della lingua e della tradizione del mio paese. Solo così tutti i tibetani potranno essere riuniti”. Testimoni oculari hanno riferito che, prima di stramazzare a terra avvolto dalle fiamme, Tsering ha intonato: “Possa Sua Santità il Dalai Lama sapere…”A mezzanotte, il corpo carbonizzato di Tsering Gyal è stato portato al monastero dove i monaci hanno officiato i rituali funebri.
Fonti: ohchr.org – Phayul – Tibetthruth