da Il Fatto Quotidiano
3 giugno 2014
È quella che a guardarla con gli occhi di oggi sembrerebbe un’impresa impossibile. Da Hong Kong, un gruppo di coraggiosi attivisti, ha contribuito a far uscire dalla Cina almeno 500 cosiddetti dissidenti che rischiava l’arresto solo per aver preso parte a quel movimento che alla fine degli anni Ottanta chiedeva al Partito riforme economiche e politiche. Un movimento trasversale che era nato per denunciare la corruzione dilagante dei funzionari e per partecipare attivamente alla costruzione della nuova Cina.
Alla vigilia del 25 anniversario del massacro di Tienanmen, il cui ricordo è ancora un tabù nella Repubblica popolare, il South China Morning Post pubblica per la prima volta i dettagli sulla fuga dei dissidenti. L’operazione aveva un nome in codice: Yellow Bird. Gli attivisti comunicavano attraverso bollettini medici. Si diceva: “Il medico occidentale dice che si tratta di un malanno al cuore” per intendere che la missione aveva avuto successo e che il dissidente era giunto sano e salvo in quella che allora era ancora un ex colonia britannica. Se invece “Il medico cinese diagnosticava un’artrite” bisognava attendere ancora. Questi i contorni di una delle attività sotterranee più leggendarie della Alleanza di Hong Kong a sostegno dei movimenti democratici patriottici in Cina. Il gruppo, fondato Szeto Wah, aveva appoggiato il movimento studentesco di Pechino nel 1989.
Alla fine di maggio, pochi giorni prima della repressione che è passata alla storia come “l’incidente del 4 giugno” Hong Kong aveva raccolto e regalato alla piazza di Pechino 14 milioni di HKD (oltre un milione di euro), tende e sacchi a pelo nuovissimi. Quindi avrebbe organizzato Yellow Bird. A distanza di 25 anni la maggior parte dei dettagli sono ancora segreti. Il gruppo dietro l’operazione avrebbe pagato altri 10 milioni di HKD alle triadi, secondo quanto racconta uno di loro al Telegraph. Solo loro potevano gestire le barche che contrabbandavano i beni dalla Repubblica popolare all’ex colonia britannica. Le stesse su cui furono fatti salire studenti e intellettuali in fuga.
Il consolato francese avrebbe anch’esso avuto un grosso ruolo. Avrebbe emesso visti per gli esuli senza aspettare l’approvazione di Parigi. “Quell’anno era il bicentenario della Rivoluzione francese. Si trattava un gesto simbolico per i diritti umani, nessuno si preoccupava veramente si come avrebbe reagito la Cina”. Così racconta al Telegraph “una persona informata dei fatti”, che aggiunge: “personalmente pensavo che la Cina presto o tardi avrebbe apprezzato il gesto. Erano solo studenti e intellettuali. Massacrarli non avrebbe fatto altro che aggiungere vergogna alla vergogna”.
Così sono state fatte uscire almeno 130 persone. Tra questi miliardari come Li Lu, imprenditori come Wan Runnan e Wu’er Kaixi, lo studente che campeggiava al 21esimo posto sulla lista dei più ricercati dalle autorità cinesi. Hong Kong all’epoca stava dalla parte degli studenti e per i successivi 25 anni ha commemorato quella data con una manifestazione. Quest’anno, tra mille polemiche, ha inaugurato il primo museo permanente al mondo dedicato alla repressione di Tienanmen. Andrew Lam, il curatore del museo di 800 mq, ha dichiarato di sperare che così che il Partito comunista ammettesse finalmente i suoi errori.
La linea ufficiale è che il governo dell’epoca prese “misure tempestive e decisive” per affrontare “disordini contro-rivoluzionari”. La notte tra il 3 e il 4 giugno del 1989 l’Esercito di liberazione popolare sparò sul popolo cinese per la prima e unica volta in sessant’anni. Non è mai stata fatta chiarezza su quello che avvenne quella notte, né si conosce il numero e l’identità dei morti. Duecento accertati, più di duemila secondo altre stime. Si parla di 15mila arresti. Secondo la fondazione statunitense Dui Hua, ci sarebbe una persona ancora in carcere. Miao Deshun all’epoca era un giovane operaio. Il suo rilascio è previsto nel 2018.
Il Fatto Quotidiano
3 giugno 2014