29 luglio 2014. La Cina ha annunciato che entro il prossimo mese di agosto entrerà in funzione, all’interno della cosiddetta Regione Autonoma, la tratta ferroviaria Lhasa-Shigatse. Pechino ha inoltre reso pubblico il progetto che prevede, entro il 2020, il collegamento di Lhasa con le confinanti frontiere di India, Nepal e Buthan senza escludere la costruzione di una tratta in direzione dello stato indiano dell’Arunachal Pradesh, in un recente passato oggetto di rivendicazioni e incursioni militari da parte della Cina.
Secondo il governo cinese la nuova ferrovia “promuoverà il turismo e consentirà l’uso razionale delle risorse naturali”. “Accelererà il trasporto dei prodotti minerari il cui trasporto su strada è spesso a rischio durante la stagione delle piogge”, ha dichiarato al People’s Daily il manager di una compagnia mineraria con sede a Lhasa.
Nei 253 chilometri che separano Lhasa da Shigatse, i treni viaggeranno a un’altezza compresa tra i 3600 e i 4000 metri e faranno sosta in 13 stazioni intermedie. Nel solo 2013 oltre 7.5 milioni di passeggeri hanno percorso la tratta Golmud – Lhasa, inaugurata nel 2006.
La preoccupazione dei tibetani in esilio è stata espressa il 25 luglio dall’Amministrazione Centrale Tibetana secondo la quale “la nuova rete ferroviaria accelererà il trasferimento di massa dei migranti cinesi in Tibet mettendo a repentaglio la peculiare identità tibetana attraverso un inevitabile processo di assimilazione forzata”. Inoltre, la crescente presenza delle compagnie minerarie e lo sfruttamento intensivo delle risorse del sottosuolo mettono a rischio il fragile equilibrio ecologico dell’altopiano tibetano oltre ad essere, spesso, causa di tragedie sul lavoro. Nel marzo 2013 ottanta minatori alle dipendenze della Gyama Copper Gold Polymetalic Mine, nelle vicinanze di Lhasa, furono sepolti da una slavina definita dal Dipartimento Ambiente e Sviluppo dell’Amministrazione Centrale Tibetana “un incidente causato dall’uomo più che da cause naturali”.
Con il beneplacito delle autorità locali, imprenditori e uomini d’affari cinesi hanno espropriato i terreni dei tibetani e dissacrato con l’apertura di nuove miniere località ritenute sacre e inviolabili: numerose le manifestazioni di protesta dei tibetani contro le espropriazioni e gli scavi.
Fonti: The Tibet Post International – Phayul