COMUNICATO STAMPA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIA-TIBET E DELLA COMUNITÀ TIBETANA IN ITALIA

27 agosto 2014. Nella Prefettura Autonoma di Kardze, il giorno 12 agosto, la polizia cinese ha sparato sulla folla che protestava contro l’arresto di Wangdak, capo del villaggio di Denma, Contea di Sershul, e chiedeva la sua liberazione. Almeno dieci tibetani sono stati feriti, tre sono deceduti: due in seguito alle ferite riportate e un terzo, di nome Lo Palsang, si è suicidato “in segno di protesta contro le torture inflittegli dai cinesi” mentre era trattenuto in custodia.

Il 27 agosto si è appreso che il 18 agosto, dopo essere venuta a conoscenza della morte del giovane marito, il diciottenne Jinpa Tharchin, morto a causa delle gravi ferite riportate, si è tolta la vita, impiccandosi, la moglie di Jinpa, una tibetana al settimo mese di gravidanza. Non si conoscono le sue generalità.

In seguito a questo ennesimo, drammatico episodio, l’Associazione Italia-Tibet e la Comunità Tibetana in Italia hanno diramato il seguente comunicato stampa congiunto:

COMUNICATO STAMPA

La giovane moglie di Jinpa Tarchin, uno dei cinque tibetani uccisi dalla polizia cinese a Kardze il 12 agosto, si è tolta la vita qualche giorno fa impiccandosi. Era incinta di sette mesi.

Suo marito Jinpa, 18 anni, era stato colpito dai proiettili della polizia cinese che ha sparato sulla folla inerme e che manifestava pacificamente per il rilascio del capo villaggio Demay Wangdak.

Demay era stato arrestato per “attività illecite” tra cui: “l’aver organizzato un tradizionale festival di cavalieri e aver bruciato ginepri e incensi nel corso di preghiere collettive”.  Si era anche lamentato con le autorità locali per le molestie che le donne tibetane ricevevano continuamente dai funzionari cinesi. La polizia ha anche ucciso accidentalmente uno dei suoi agenti colpito al collo da un proiettile.   Jinpa Tarchin, moribondo, era stato rinchiuso, assieme ad altri tibetani colpiti dal fuoco cinese, nella prigione di Loshu e come gli altri era stato lasciato completamente privo di assistenza medica. In pochi giorni cinque tibetani sono morti.

Una storia di ordinaria e crudele follia nell’inferno del Tibet che la propaganda cinese si ostina a presentare come un paradiso in terra mentre il resto del mondo si ostina a far finta di crederci ignorando completamente le 137 auto immolazioni con il fuoco degli ultimi tre anni. Immolazioni che denunciano in modo chiaro la feroce politica di genocidio culturale ed etnico portata avanti da Pechino sul Tetto del Mondo, invaso e occupato illegalmente dal 1950.

La Comunità Tibetana in Italia e l’Associazione Italia-Tibet ancora una volta denunciano il silenzio colpevole e complice dell’Occidente impegnato nei suoi business autolesionisti con il regime cinese.