27 ottobre 2014. Le autorità cinesi della Contea di Jomda, nella prefettura di Chamdo, situata nella parte orientale della cosiddetta Regione Autonoma Tibetana (nell’immagine), hanno chiesto alle famiglie dei monaci e delle monache registrati nei locali monasteri di richiamare a casa i loro congiunti. Questo provvedimento mira a rafforzare i controlli sulle comunità monastiche che Pechino considera i maggiori centri della lotta di resistenza contro il governo.
Un provvedimento analogo era stato adottato lo scorso mese a Driru, nella Contea di Nagchu, dove le autorità avevano ordinato la distruzione delle strutture religiose di recente costruzione e l’espulsione dai monasteri, con il conseguente rientro a casa, di tutti i monaci più giovani. Un documento di trenta pagine distribuito capillarmente dichiarava illegali gli stupa e i templi costruiti dopo il 2010 e ordinava il rientro nelle rispettive abitazioni, entro il 20 ottobre, dei monaci di età inferiore ai dodici anni.
A Jomda l’ordine è stato diramato il 24 ottobre. “Le famiglie della Contea di Jomda”- di legge nel documento emanato dalle autorità locali – “devono al più presto chiedere ai monaci e alle monache che studiano nel monasteri della Prefettura di Chamdo di fare ritorno alle loro abitazioni. Se l’ordine non verrà rispettato, i nominativi dei religiosi saranno rimossi dalle liste di registrazione delle famiglie, le loro carte di identità saranno invalidate e le famiglie perderanno ogni forma di aiuto governativo”. Non sarà consentito entrare in monastero ai giovani di età inferiore ai diciotto anni.
L’ordine riguarda anche i monaci e le monache dei grandi centri di studio buddisti di Larung Gar, nella Contea di Serthar, e di Yachen Gar, nella Contea di Palyul, entrambi nella Prefettura Autonoma Tibetana di Kardze.
Fonte: Radio Free Asia