10 giugno 2015. E’ passato un anno dalla fine della pena detentiva inflitta al film maker tibetano Dhondup Wangchen (nella foto), condannato a sei anni di carcere per aver realizzato tra il 2007 e il 2008 il film “Leaving Fear Behind”, un documentario sulla situazione dei tibetani sotto il dominio cinese alla vigilia delle Olimpiadi di Pechino.
Uscito dalla prigione di Xining, dove ha scontato la pena, il 5 giugno dello scorso anno, Dhondup ben lontano dall’essere nuovamente un uomo libero, non ha potuto ancora lasciare il Tibet per ricongiungersi ai famigliari: è sottoposto ad uno stretto regime di sorveglianza e gli è negato ogni movimento e tentativo di comunicazione.
Dhondup Wangchen aveva realizzato il documentario viaggiando attraverso l’Amdo assieme al monaco tibetano Jigme Gyatso, popolarmente conosciuto con il nome di Golok Jigme, e intervistando gli abitanti della regione alla vigilia dei Giochi Olimpici di Pechino 2008. Il materiale raccolto era poi stato inviato nascostamente in Svizzera dove il cugino di Wangchen, Gyaljong Tsetrin, aveva editato le 35 ore di filmato realizzando un documentario della durata di 25 minuti. Nelle immagini, i tibetani raccontavano la distruzione della cultura tibetana per mano dei cinesi, la violazione della libertà di culto e il costante rispetto per Il Dalai Lama, loro leader in esilio.
Dhondup Wangchen e Jigme Gyatso furono arrestati il 28 marzo 2008. Dhondup fu condannato a sei anni di carcere con l’accusa di “sovversione al potere dello stato”. A Jigme Gyatso, che nell’area di Sertar era noto e rispettato per il suo attivismo in campo sociale, furono inflitti sette mesi di carcere e, a causa delle torture patite, rischiò di morire. Fece ritorno al monastero nel maggio 2009 ma scomparve nel settembre 2012. Non si ebbero più sue notizie fino al 27 novembre dello stesso anno quando l’ufficio di Pubblica Sicurezza della provincia di Gansu emanò un ordine di arresto del religioso accusandolo di “omicidio”. Riuscì a lasciare il Tibet e a raggiungere Dharamsala il 18 maggio 2014.
Temendo per la sua sorte, la moglie di Dhondup Wangchen, Lhamo Tso e l’organizzazione in esilio Filming for Tibet, che opera a sostegno del lavoro dei film maker tibetani, lanciarono una campagna per sostenere l’innocenza di Jigme Gyatso e chiedere che fosse prosciolto da ogni accusa. Le informazioni raccolte da Filming for Tibet con l’aiuto di Lhamo Tso fornirono la prova che le accuse rivolte dalle autorità cinesi a Jigme Gyatso erano prive di fondamento. Lhamo Tso, amica di lunga data di Jigme, si appellò al governo degli Stati Uniti e ai governi di tutto il mondo affinché la Cina smettesse di dargli la caccia e revocasse l’ordine di arresto. A tutti i gruppi di sostegno al Tibet era stato chiesto di mobilitarsi e rendere pubblico questo appello.
Dalla Svizzera, dove risiede, Gyaljong Tsetrin, ha espresso la propria preoccupazione per la sorte del cugino. Da Dharamsala, Jigme Gyatso ha fatto sapere che Dhondup, torturato in carcere, è in precarie condizioni di salute e non ha mai potuto ricevere le medicine necessarie per curare l’epatite B di cui soffre. Attraverso i media internazionali e tibetani ha rinnovato il suo appello alla comunità internazionale affinché chieda alla Cina il rilascio di tutti i prigionieri politici nel Tibet occupato e il rispetto dei diritti umani di quanti hanno ormai scontato la pena.
Fonti: The Tibet Post – Redazione