16 giugno 2015. La polizia cinese ha arrestato Tamding Wangyal, il marito di Sangye Tso, la donna tibetana madre di due figli immolatasi lo scorso 27 maggio nella Contea di Chone, regione dell’Amdo. Si era cosparsa di benzina e si era data fuoco attorno alle 4.00 (ora locale), di fronte alla sede del personale di sicurezza cinese, nelle vicinanze del monastero di Choekhorling.
Sangye e il marito gestivano un ristorante, un negozio e un albergo ma a causa di ripetuti problemi insorti con le locali autorità cinesi avevano deciso di aprire una nuova attività a Nagchu e di lasciare i bambini con i nonni. Fonti tibetane hanno riferito che prima di portare a compimento la sua protesta Sangye Tso aveva inviato ai suoceri alcuni suoi gioielli e capi di abbigliamento destinati a fornire i mezzi necessari per assicurare ai figli un’adeguata istruzione. Dopo la sua morte, i locali funzionari di polizia hanno chiesto di vedere e fotografare tutto ciò che la donna tibetana aveva fatto pervenire ai suoceri. Hanno inoltre sottoposto a lunghi interrogatori altri membri della famiglia.
Dopo il gesto di estrema protesta di Sangye Tso, le autorità cinesi hanno tratto in arresto anche tre monaci del monastero di Choekhorling: Samten Gyatso, Lobsang Samten e Thinlay Gyatso. Nonostante la polizia non abbia fornito alcuna spiegazione sulle ragioni del loro arresto, i tibetani del luogo ritengono che molto probabilmente siano stati fermati per aver diffuso la notizia dell’immolazione di Sangye Tso attraverso la rete di chat vocale WeChat. Le autorità cinesi hanno incrementato i controlli su tutti i canali di comunicazione inclusi i servizi di messaggio vocale e la posta elettronica.
Fonti: The Tibet Post – Phayul