TIBET: CALMA NELL’ANNIVERSARIO DEI MOTI

di Beniamino Natale
PECHINO, 14 MARZO 2009 – Anche il secondo anniversario “pericoloso”, quello delle violenze di Lhasa del 14 marzo dell’anno scorso, è passato senza incidenti in un Tibet stretto nella morsa delle forze di sicurezza cinesi. In occasione di questa scadenza – che seguiva di pochi giorni il 50°anniversario della fuga in India del Dalai Lama – residenti di Lhasa hanno affermato che reparti della Polizia armata del popolo (Pap) in assetto antisommossa hanno pattugliato per tutta la giornata la piazza del Barkor e le strade che fiancheggiano il tempio di Jokhang, il più importante della città, teatro l’anno scorso delle manifestazioni sfociate in attacchi contro gli immigrati cinesi e musulmani “hui” da parte di gruppi di giovani tibetani. Testimoni citati dalla stampa di Hong Kong hanno affermato che due elicotteri hanno sorvolato la capitale, un fatto abbastanza raro. Il segretario del Partito Comunista locale, Zhang Qingli, in una dichiarazione riportata dal sito web del Tibet Daily ha definito “complicata” la situazione nella Regione Autonoma, della quale Lhasa è la capitale. Zhang ha giustificato la massiccia presenza delle forze paramilitari sostenendo che è necessaria per “far fallire gli intrighi ed i complotti della cricca del Dalai (Lama) che vuole dividere la madrepatria e rendere il Tibet instabile”. Nei moti del 14 marzo 2008, innescati dall’arresto di decine di monaci che avevano tenuto manifestazioni anticinesi nei giorni precedenti, vennero uccise 22 persone, secondo le cifre diffuse dal governo di Pechino. I gruppi di esiliati tibetani sostengono che nella repressione delle manifestazioni che si svolsero nei due mesi successivi hanno perso la vita più di duecento persone, mentre settemila tibetani sono stati arrestati. Il quotidiano di Hong Kong South China Morning Post, in un articolo da Lhasa non firmato, descrive una situazione da stato d’ assedio, con perquisizioni in tutti gli alberghi e le case private alla ricerca di persone “sospette”.L’ unica che è stata trovata, sembra, è uno studente tedesco di 22 anni bloccato a Lhasa e rispedito a Pechino, che ha raccontato di essere riuscito ad eludere per un mese la sorveglianza della polizia girando per il Tibet, dove era andato per visitare la fidanzata, una ragazza tibetana che aveva conosciuto nella capitale. La Regione Autonoma del Tibet e le altre aree della Cina a popolazione tibetana continueranno ad essere strettamente controllate almeno fino al 28 marzo, data nella quale verrà celebrata per la prima volta la “giornata della liberazione dalla schiavitù”, cioé l’ annessione del Tibet alla Repubblica Popolare Cinese. La Cina ha lanciato oggi una campagna contro gli stranieri che “interferiscono nei suoi affari interni”.

Il Comitato per gli affari esteri dell’Assemblea nazionale del popolo, il Parlamento cinese, si è scagliato contro il Parlamento Europeo, che il 12 marzo ha approvato una risoluzione di solidarietà con il Tibet e con il Dalai Lama, il leader tibetano in esilio che Pechino ritiene un secessionista. Funzionari cinesi hanno chiesto all’ Agence france presse, l’ agenzia d’ informazione francese “scuse formali” per una didascalia sbagliata ad una foto nella quale si attribuiva all’esercito cinese il possesso di armi sequestrate negli anni cinquanta ad un gruppo di ribelli tibetani. Ma gli appelli dall’estero al dialogo continuano ad arrivare: oggi l’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, anche lui un Premio Nobel per la pace, come il Dalai Lama, ha chiesto a Pechino di smettere di “insultare” il leader tibetano la cui vita, ha sostenuto, “é stata dedicata alla pace”.

(da www.Ansa.it)