Il cielo è di un azzurro intenso e la luce del sole accecante, anche se siamo nella seconda metà di novembre e a 3700 metri di altezza.
Un gruppo di monaci accetta di parlare con i giornalisti stranieri sul tetto del Jokang, il più sacro dei templi tibetani nel centro di Lhasa, capitale della Regione Autonoma del Tibet (Tar) e cuore pulsante del buddhismo tibetano. Quello che dicono lascia pochi dubbi sulla loro opinione sull’ ultimo scambio di battute polemiche tra il leader spirituale del Tibet, il Dalai Lama, e le autorità’ cinesi che dal 1951 controllano il territorio. Uno di loro, che si identifica come “Laba, un monaco del Jokang”, sottolinea che i “bodhisattva”, i saggi che decidono di loro volontà di tornare nel mondo di sofferenza dei mortali per aiutarli a liberarsi e a diventare loro stessi dei Buddha, sono in grado di scegliere il momento e il luogo della loro reincarnazione.
“Questa è’ la vera essenza del buddhismo”, dice con un sorriso. Laba non lo dice ma sicuramente il Dalai Lama, che è’ ritenuto una reincarnazione di Avalokistevara, il Buddha della compassione, rientra in questa categoria. Tra il Dalai Lama, che dal 1959 vive in esilio in India e le autorità cinesi, che lo accusano di promuovere il secessionismo e di aver organizzato la violenta rivolta del 2008, è in corso da anni una estenuante partita di scacchi che ha come posta il futuro del lignaggio dei Dalai Lama – che domina il territorio dal 17/mo secolo – e dello stesso Tibet. Nel 2007 l’ Ufficio per gli affari religiosi di Pechino – l’ organismo della Repubblica Popolare Cinese addetto al controllo delle comunità religiose – ha elaborato e rese pubbliche le regole per la scelta delle reincarnazioni dei cosiddetti Grandi Lama, una pratica di importanza centrale per il buddhismo tibetano. Secondo l’ Ufficio fin dai tempi dei Qing – la dinastia manciuriana che ha governato la Cina dal 1644 al 1912 – l’ultima parola sulle reincarnazioni spetta al governo centrale di Pechino.
Negli anni scorsi il Dalai Lama ha sostenuto che potrebbe reincarnarsi all’ estero o non reincarnarsi affatto, mettendo fine al suo lignaggio. Il governo cinese è’ invece ansioso di aver al suo posto un leader più’ malleabile, e quale occasione migliore della scelta del prossimo Dalai Lama, occasione che non dovrebbe essere tanto lontana se si considera che l’ attuale leader tibetano, il 14/mo, ha 80 anni? Un gruppo di giornalisti stranieri basato a Pechino è’ stato invitato per la prima volta dal 2009 per una visita in Tibet di cinque giorni. Ricevendoli, il vicesegretario del Partito Comunista della Tar, Deng Xiaogang, ha ricordato loro la “realtà'” del Tibet, una regione nella quale è stato sconfitto l’ analfabetismo, che affliggeva il 95% della popolazione prima di quella che i cinesi chiamano la “liberazione pacifica” del Tibet e gli esuli tibetani definiscono “invasione cinese”, avvenuta nel 1951. Il Prodotto Interno Lordo è cresciuto di oltre 200 volte e il reddito medio è di poco inferiore a quello delle regioni più sviluppate della Cina. Lhasa non è più’ la “città’ proibita” che decine di esploratori e studiosi hanno sognato di raggiungere nei secoli passati, ma una moderna metropoli, simile a tante altre città dell’ enorme Cina. Quanto alla recente disputa col Dalai Lama, Deng afferma che “nella storia, ci sono stati dei metodi e delle leggi” per regolare le reincarnazioni. Il vicesegretario conclude che “la porta è sempre aperta” alle trattative, ma solo se il leader tibetano “rinuncerà all’ indipendenza” del Tibet. Il Dalai Lama afferma di averlo fatto da tempo e di puntare ad una “vera autonomia” del territorio. Prima delle delegazione di giornalisti è arrivato a sorpresa a Lhasa un gruppo di membri del Congresso americano guidato dalla democratica Nancy Pelosi, un’ aperta sostenitrice del Dalai Lama. Invitare Pelosi e la sua delegazione, ha dichiarato all’ ANSA il presidente della Campagna Internazionale per il Tibet Matteo Mecacci, “è stato un gesto che, pur con tutte le limitazioni imposte alla loro libertà di movimento, segnala che (il presidente cinese) Xi Jinping non ignora l’opinione della comunità internazionale sulla questione”. Il presidente della Campagna per il Tibet ci tiene però a ricordare che nella Tar e nelle altre aree della Cina a popolazione tibetana “la libertà religiosa è negata dal controllo assoluto del governo” che a partire del 2012 ha messo “dentro o vicino” a ciascun monastero una stazione di polizia e che “conduce campagne di rieducazione, per diffondere la lealtà’ al partito stesso”. Mecacci ricorda inoltre le oltre 140 “autoimmolazioni” di tibetani in protesta verso la politica cinese e conclude che “se vuole, il governo cinese può’ trovare una soluzione politica grazie alla leadership del Dalai Lama”.
Beniamino Natale
Ansa.it Mondo
30 novembre 2015