Obama e il Dalai Lama, il Nobel a chi non ha voluto incontrare un Nobel

di Marco Del Corona

(www.corriere.it, 9 ottobre 2009)

C’è uno stridore – o un apparente stritore – che può colpire la pubblica opinione occidentale. A ricevere il Nobel per la Pace è quel Barack Obama che pochi giorni fa non ha voluto incontrare un altro Nobel per la Pace, il Dalai Lama, in visita a Washinghton. Che invece si è visto con Nancy Pelosi, democratica, figura comunque di prestigio dell’estabilishment obamiano.

INCONTRO A DICEMBRE Sembra una beffa. In realtà, si sa, Barack Obama ha posposto il facca a faccia con il leader tibetano a dicembre, dopo la visita che il presidente compirà in Cina dal 15 al 18 novembre prossimo. Gli incontri fra i leader dell’Occidente libero e il Dalai Lama hanno un che di rituale, ma nella scelta di Obama sembra leggersi in controluce un preciso disegno, un’accortezza che sembra rispecchiare le motivazioni del Nobel: la capacità di dare un’accelerazione innovativa alle pratiche della diplomazia.

AVVERSIONE Data la radicale avversione che la Cina nutre per il Dalai Lama, ogni incontro tra un leader europeo o americano non solo ha il potere di far infuriare Pechino ma non aggiunge nulla alla causa di chi auspica un Tibet più autonomo, pur nell’ambito della Repubblica Popolare (per non dire di chi lo sogna indipendente, ma ormai anche il Dalai Lama chiede solo autonomia dentro la Cina). Obama dunque antepone il dialogo con la Cina, e infatti oggi i giornali cinesi danno gran rilevanza al viaggio asiatico del presidente e alla sua agenda principale: commercio, economia, clima.

PRAGMATISMO E’ probabile che Obama affronterà gli argomenti Tibet, Dalai Lama, diritti umani, ma – semplicemente leggendo i fatti – pare di capire che lo farà con discrezione, dietro le quinte. Si tratta di un approccio che potrà essere criticato, ma che mostra realismo e pragmatismo. Non solo nessuno – non certo gli Usa della crisi – è in grado ormai di ordinare alla Cina che cosa deve fare, ma esula dalla psiche cinese affrontare certi temi in modo frontale. E’ piuttosto con un clima di fiducia, come quello che evidentemente si spera di costruire durante il viaggio di novembre, che certi temi possono essere toccati con un minimo di efficacia. Questa pare essere la strategia di Washington.

LA LEZIONE BIRMANIA Il caso Birmania ne è la prova: Hillary Clinton ha annunciato in settembre che l’America vuole parlare con i generali della giunta, senza togliere le sanzioni. Dialogo più fermezza. Stessa disponibilità, con qualche cautela in più, si legge nelle mosse Usa sulla Corea del Nord. Se il muro contro muro non paga, si provi con altri mezzi, ritiene l’amministrazione Obama. E incontrare il Dalai Lama in modo rituale è porre la questione con la Cina negli sterili termini del muro contro muro, Occidente-succubo-del-Dalai-Lama versus Cina. Senza un clima di dialogo e comunicazione aperta fra le potenze, è arduo anche per le più tenui velleità autonomiste aspirare a qualche risultato. Se la strategia pagherà, lo dirà il tempo. E se pagherà, sarà forse davvero una strategia da Premio Nobel.
(www.corriere.it)