19 marzo 2016 (AsiaNews). Dopo aver pubblicato una lettera aperta su un sito para-statale in cui chiede al presidente cinese Xi Jinping di dimettersi, il giornalista cinese Jia Jia (nella foto) è sparito. Egli doveva prendere un aereo per Hong Kong la sera del 15 marzo scorso, ma sarebbe scomparso sulla strada per l’aeroporto.
La moglie dice di non avere alcuna informazione. L’ultimo contatto sarebbe avvenuto intorno alle 8 di sera (ora locale), quando il reporter ha detto alla compagna di essere “pronto per imbarcarsi”. L’amico di Hong Kong che lo aspettava per ospitarlo non ne ha avuto più notizie.
Yan Xin, legale di Jia, dice alla BBC: “Non abbiamo alcun indizio su cosa sia successo. È altissima la possibilità che sia stato portato via dall’aeroporto. La famiglia non ha ricevuto alcun documento ufficiale su dove sia o quale sia il suo status attuale”. Inutili anche i tentativi di trovarlo nei documenti relativi al volo o all’Ufficio immigrazione dell’ex colonia britannica. Prima di sparire, il giornalista aveva confidato a un amico di temere “qualche reazione” dopo la pubblicazione della lettera.
Il testo è apparso lo scorso 4 marzo sul sito Watching – noto anche come Wujie News – collegato al governo. Indirizzata a Xi Jinping, ma senza firma, la lettera chiede le dimissioni del presidente e lo accusa di aver accumulato troppo potere, aver creato un “culto della personalità” e aver fallito in molti campi, dalla diplomazia all’economia. I firmatari anonimi si definiscono “leali sostenitori del Partito comunista”. Un collega di Jia spiega che coloro che sono stati coinvolti nella pubblicazione sono al momento “sotto inchiesta”.
La sparizione di Jia Jia punta di nuovo i riflettori sull’accresciuta censura nei confronti della stampa ordinata dal Partito comunista. Il governo centrale sembra intenzionato a mettere a tacere ogni voce critica, arrivando a far “sparire” degli editori di Hong Kong prelevandoli dal Territorio (formalmente indipendente dall’autorità giudiziaria cinese). Ma si sono moltiplicati anche i casi di espulsione di giornalisti stranieri e di “vendette” nei confronti dei giornali non allineati. Secondo il grande dissidente Wei Jingsheng, in Cina si sta verificando un “revival maoista” che vuole far dimenticare gli insuccessi dei leader.
L’aumento della pressione nei confronti dei media è stato denunciato persino da Zhou Fang, un tempo “punta di diamante” dell’agenzia ufficiale di Stato Xinhua. In una lettera aperta inviata all’Assemblea nazionale del Popolo, da poco conclusa a Pechino, il giornalista accusa: “I Dipartimenti di governo hanno del tutto ignorato la Costituzione, arrivando a sostituirsi ad essa nello stato di diritto. Sono divenuti gli arbitri dell’opinione pubblica”. A Radio Free Asia che gli chiedeva un commento su eventuali ritorsioni, il reporter ha risposto: “Sono sicuro che siete in grado di immaginare cosa accade in queste situazioni”.
Un documento riservato inviato ai media di Stato prima della chiusura dell’Anp conferma il clima da Grande Fratello. Il Dipartimento centrale di propaganda scrive infatti ai giornalisti di concentrarsi sul presidente Xi Jinping, da poco divenuto “leader centrale” (titolo attribuito prima di lui soltanto a Deng Xiaoping), e vieta di parlare di 21 argomenti “sensibili”. Fra questi vi sono lo smog, le misure di sicurezza per l’Anp, il budget per la difesa nazionale e le proprietà private e i patrimoni di delegati e membri dello staff.
Ogni articolo sulla corruzione, sui rapporti con Taiwan o con la Corea del Nord – aggiunge la lettera – deve ricalcare quelli della Xinhua. I report negativi “saranno controllati in maniera stretta”. Banditi anche commenti o reportage sul mercato azionario, il pacchetto di valute di proprietà del governo o la situazione del mercato immobiliare. Impedita anche ogni menzione sui passaporti stranieri che diversi deputati oramai possono vantare. Queste istruzioni sembrano essere state seguite alla lettera, e hanno prodotto una delle sessioni parlamentari più controllate (e vaghe) degli ultimi decenni.
Fonte: AsiaNews