30 novembre 2017. Un monaco di sessantatré anni si è dato fuoco a Dadho, Contea di Kardze, il 26 novembre, in segno di protesta contro i soprusi e i rigidi controlli esercitati dalla Cina sul popolo tibetano.
Tengha, nativo di Dadho, città situata nella Contea di Kardze, Prefettura Autonoma della Provincia del Sichuan, aveva studiato e praticato il Buddhismo per molti anni presso il monastero di Kardze. Aveva lasciato il monastero per motivi di salute. Della sua vita si conosce che aveva perso i genitori quando era bambino e che lascia tre fratelli di cui uno vive negli Stati Uniti e due a Lhasa. Nel 2005 Tengha aveva presenziato agli insegnamenti e all’iniziazione di Kalachakra celebrati ad Amravati, in India.
La notizia del nuovo caso di autoimmolazione è arrivata soltanto nella giornata di ieri assieme a un brevissimo video che mostra Tengha a terra, avvolto dalle fiamme, circondato da alcuni passanti in preghiera. Il filmato si interrompe bruscamente all’arrivo delle forze di sicurezza dotate di un estintore per spegnere le fiamme. Un amico del monaco, presente nel luogo dell’immolazione, ha fatto sapere che Tengha nel darsi alle fiamme ha gridato: “Vogliamo la libertà in Tibet”. Il suo corpo è stato portato immediatamente via dal personale di sicurezza e al momento non è dato sapere se il monaco sia deceduto o se invece sia sopravvissuto. Le autorità hanno reagito alla nuova immolazione dispiegando nella zona un ingente numero di forze di polizia e di militari.
Tengha è il quinto tibetano che in segno di protesta si dato fuoco in Tibet nel corso del 2017. Sono 150 i casi accertati di autoimmolazione all’interno del Tibet a partire dal 2009 e, di questi, 126 hanno avuto esito letale. Appresa la notizia della nuova autoimmolazione, Lobsang Sangay, presidente dell’Amministrazione Centrale Tibetana, si è detto profondamente rattristato per il gestro estremo di tanti giovani e vecchi, uomini e donne, monaci e monache. “I sacrifici di questi tibetani sono la dimostrazione che la repressione cinese in Tibet è diventata intollerabile. E’ arrivato il momento che il governo cinese presti attenzione alle istanze dei tibetani che chiedono la libertà e il ritorno del Dalai Lama. La questione del Tibet può essere risolta con un accordo amichevole attraverso l’Approccio della Via di Mezzo e la ripresa del dialogo con i rappresentanti tibetani”.
Notizie recentemente arrivate dal Tibet forniscono l’ennesima prova della repressione in atto all’interno del paese: al termine del 19°Congresso Nazionale del Partito Comunista le autorità hanno inviato gruppi di lavoro in molte località e monasteri delle regioni del Qinghai e del Sichuan obbligando i residenti a sottostare a sessioni di ri-educazione basate sui principi emersi dal Congresso. Soprattutto nelle località teatro di casi di autoimmolazione sono “in pieno svolgimento” attività di propaganda e corsi di insegnamento e training in sintonia con “lo spirito del 19°Congresso” perché “monaci e laici siano animati da spirito patriottico e condividano la stessa passione del Partito e del governo”.
Fonti: FreeTibet – Phayul – TibetNet