3 agosto 2020. Ai tibetani è costantemente negato il diritto a un equo processo: è quanto afferma il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia nell’annuale rapporto sulla situazione in Tibet.
Soprattutto nei casi politicamente sensibili “i tibetani sono raramente informati sul loro diritto ad essere difesi da un avvocato”, si legge nel rapporto. Spesso i processi si svolgono a porte chiuse e le confessioni sono estorte con il ricorso alla tortura. I famigliari dell’accusato non sono informati della detenzione o dell’arresto dei loro cari. Poiché nella maggior parte dei casi sono accusati di ledere la “sicurezza dello stato” o di avere divulgato di “segreti di stato”, ai tibetani è talvolta negato il processo e sono tenuti in isolamento per mesi senza che se ne abbiano notizie. “La Procura cinese svolge un doppio ruolo” – afferma il Centro Tibetano per i Diritti Umani e la Democrazia -, supervisiona il lavoro dei giudici e dei tribunali e può chiedere il riesame dei casi nonché il prolungamento del periodo di carcerazione preventiva mettendo a rischio l’indipendenza delle indagini e del giudizio”.
“Indipendenza che in Cina non esiste”, ha dichiarato a Radio Free Asia Pema Gyal, ricercatore presso il Centro Tibetano. “I tibetani che osano criticare il governo cinese su temi sociali e ambientali sono tratti in arresto e sommariamente processati.” Emblematici i casi di due tibetani, Anya Sengdra e Tashi Wangchuk, arrestati per rispettivamente aver postato on line articoli sui danni arrecati all’ambiente e a difesa del diritto dei tibetani a scrivere ed esprimersi nella loro lingua”. “Entrambi stanno scontando lunghe pene detentive senza aver commesso alcun atto criminale o aver violato la stessa costituzione cinese”. La situazione è aggravata dal giro di vite imposto da Pechino al libero flusso delle informazioni: “Ancora non conosciamo il numero dei tibetani che sono stati arrestati”.
Fonte: Radio Free Asia