28 giugno 2021. La Contea di Driru, parte della cosiddetta Regione Autonoma Tibetana, è ormai da anni teatro di strette misure di sorveglianza e di numerosi arresti effettuati dalle autorità cinesi.
Nella Contea di Driru la repressione è iniziata nel maggio 2013 quando i tibetani si opposero all’attuazione di un progetto che prevedeva lo sfruttamento delle risorse minerarie del loro territorio da secoli ritenuto patrimonio culturale sacro e inalienabile. In quell’occasione, 3.500 tibetani confluirono nell’area esprimendo la loro disapprovazione e cercando di impedire l’inizio dei lavori. Pechino represse la protesta inviando in loco l’esercito e arrestando decine di manifestanti. Nell’agosto di quell’anno il governo cinese lanciò a Driru una campagna speciale si ri-educazione patriottica. Il mese seguente fu ordinato agli abitanti del villaggio della Contea di issare la bandiera cinese sui tetti delle case ma, disobbedendo all’ordine, i residenti di almeno due insediamenti le gettarono in un fiume. Da allora non sono mai cessate le proteste, gli arresti e le sparatorie della polizia sui dimostranti.
Nell’agosto 2020, Lhamo, una nomade tibetana trentaseienne, madre di tre figli, è deceduta a Driru in seguito alle torture subite durante la sua arbitraria detenzione. Era stata apparentemente fermata per aver inviato del denaro ad alcuni parenti in India, cosa peraltro non ritenuta illegale. In realtà erano state trovate nella sua abitazione alcune foto del Dalai Lama. Gli ultimi arresti sono stati effettuati nell’aprile 2021, tra loro figura Gyajin, quarantaquattro anni, padre di tre figli, accusato di aver contattato telefonicamente e attraverso i social media i famigliari in esilio. Gli stessi tibetani in esilio non sono in grado di comunicare con i parenti residenti a Driru e preferiscono tacere su quanto sta avvenendo nella Contea nel timore che i loro congiunti siano oggetto di rappresaglie da parte delle autorità cinesi.
Fonte: freetibet.org