“Il Tibet non è cinese”. Il tweet del giocatore dell’Nba scatena l’ira di Pechino

21 ottobre 2021

“Signor dittatore brutale Xi Jinping e governo cinese. Il Tibet appartiene ai tibetani. Sostengo i miei fratelli e le mie sorelle tibetani, e sostengo il loro appello alla libertà”. Maglietta nera con la faccia del Dalai Lama stampata, con un video di quasi tre minuti su Twitter Enes Kanter, stella dei Boston Celtics dell’Nba, ci va giù pesante. Il cestista turco affida il suo messaggio ai social per denunciare “la repressione del governo cinese nei confronti della libertà e dei diritti del popolo tibetano”. “Xi, ho un messaggio per lei. Lo dico ancora, ancora e ancora, forte e chiaro, e spero mi senta: Tibet libero, Tibet libero, Tibet libero!”. Il video di Kanter ha subito fatto il giro del web cinese e le ricerche sul suo nome, su Weibo, sembrano essere ora bloccate. Commenti indignati sulla pagina dei Celtics. “Sono un vecchio tifoso, da più di 10 anni tifo Celtics. Ma dopo quello che ha fatto Kanter non tiferò questa squadra un solo giorno di più. Tra i miei hobby e il mio Paese non c’è paragone”.

Il precedente con Erdogan

“Sta soltanto cercando di attirare l’attenzione”, è stato il commento del portavoce del Ministero degli Esteri. Le sue osservazioni “non valgono la pena di essere confutate. Ma non accetteremo mai questi attacchi che sono fatti per screditare lo sviluppo e il progresso del Tibet”. Kanter non è nuovo a prese di posizione politiche del genere. Lo scorso anno pubblicò un articolo sul Boston Globe denunciando le “decine di migliaia di innocenti rinchiusi nelle carceri turche” e il “disprezzo dei diritti umani da parte del presidente Recep Tayyip Erdogan”. Presunto sostenitore del movimento gulenista, accusato da Ankara di aver orchestrato il fallito colpo di stato contro il presidente Erdogan nel luglio 2016, Kanter ha più volte affermato di aver evitato per anni qualsiasi contatto con i membri della sua famiglia in Turchia per paura di rappresaglie da parte delle autorità.

Di Gianluca Modolo

Repubblica.it

21 ottobre 2021