29 settembre 2022.
Le autorità cinesi hanno indetto in nuovo programma di ri-educazione destinato ai monaci e alle monache della cosiddetta Regione Autonoma.
Il nuovo programma di ri-educazione fa seguito a quello cui erano stati sottoposti i religiosi a partire dallo scorso mese di maggio. Fu loro imposto all’epoca di partecipare ai corsi sulle “Tre Consapevolezze”: la consapevolezza dell’appartenenza nazionale, della cittadinanza e della legge. In pratica, veniva loro ribadito di accettare il governo cinese in Tibet, di condannare il “separatismo” e di obbedire al Partito, al Comitato Centrale e al presidente Xi Jinping.
Il nuovo programma di ri-educazione chiede specificatamente ai monaci e alle monache di rinunciare o di condannare quattro comportamenti diffusi tra la popolazione tibetana. Devono anzitutto condannare lo Tsethar – la “liberazione che arreca un merito” -, la pratica buddista che consiste nel liberare gli animali destinati al macello. Gli ambientalisti affermano che il rilascio degli animali può alterare l’equilibrio dell’ecosistema. In realtà, alle autorità cinesi non interessa tanto il significato religioso dello Tsethar ma il suo contrapporsi alla rigida regolamentazione in materia di gestione degli animali domestici.
Al secondo punto il programma chiede ai religiosi di condannare il digiuno durante il Saka Dawa, il mese sacro attorno al Vesak, la festività che celebra l’illuminazione e la morte del Buddha. In questo periodo molti tibetani praticano il digiuno per alcuni giorni e non mangiano carne per l’intero mese.
Al terzo punto si chiede ai monaci e alle monache di celebrare il Losar, il capodanno tibetano, e di chiedere a tutta la popolazione di fare altrettanto. Può sembrare strano che i tibetani non festeggino in massa questa ricorrenza ma dal 2009, un anno dopo la sanguinosa repressione dell’insurrezione che infiammò Lhasa e l’intero Tibet, la popolazione decise, in segno di protesta, di non celebrare il Losar. Il Partito Comunista ritiene che la mancata partecipazione della popolazione ai festeggiamenti sia frutto della manipolazione da parte dei monaci. Paradossalmente, mentre da una parte la Cina si adopera sistematicamente per annientare la cultura tibetana, dall’altra chiede ai religiosi di incentivare la festività la cui assenza è percepita da Pechino come un atto ostile.
Infine, al quarto punto, si chiede ai monaci e alle monache di dissuadere gli agricoltori dal rifiutarsi di coltivare la loro terra in segno di protesta contro la soppressione della lingua e della cultura tibetana. Questa forma di sciopero, iniziata nella regione del Sichuan, si è ora estesa anche alla “Regione Autonoma Tibetana”.
Ritenendo i religiosi responsabili di sostenere tra la popolazione queste forme non violente di protesta e non sapendo come comportarsi senza provocare maggiori reazioni, le autorità cinesi chiedono ora la “collaborazione” dei monaci e delle monache.
Fonti: Tibet.net – Bitter Winter