Alcune settimane fa una delegazione di militari cinesi è arrivata in visita ispettiva a Gressoney Saint Jean in vista dei Giochi Militari Invernali inaugurati ieri 20 marzo (nella foto, un momento della cerimonia d’inaugurazione – La Stampa, 21 marzo 2010). I militari hanno notato subito una bandiera del Tibet che sventolava sopra la locale scuola di sci (da due anni). Con i toni che ben conosciamo hanno preteso la rimozione immediata della stessa la cui presenza, hanno affermato, feriva la loro “sensibilità”, in quanto il Tibet farebbe parte della Cina, e costituiva un attentato all’unità della madre patria. Frasi e slogan ben noti.
Di fronte alla minaccia cinese, non vediamo come chiamarla diversamente, è iniziato un balletto di posizioni delle istituzioni locali, altalenanti tra la paura di veder compromessi i Giochi Militari, importanti per l’economia della vallata, e l’imbarazzo di dover sottostare a un diktat violento e ricattatorio che lede profondamente la dignità dei valdostani, degli italiani, delle nostre leggi, istituzioni, i nostri principi fondamentali di libertà di pensiero ed espressione.
Del resto è loro abitudine sbraitare indignati contro le interferenze negli affari interni della Cina ogni qual volta si ricordano i problemi di diritti umani, ambientali, sindacali della loro grande nazione, ma non esitare un attimo ad impartire ordini a casa altrui.
Il direttore della scuola Mauro David ha dunque convocato un’assemblea dei maestri di sci per deliberare in modo democratico sul destino della ormai consunta ma ancora molto significativa bandiera e la maggioranza, erano in tutto nove maestri su venti soci, ha deliberato di toglierla dal tetto della scuola. La decisione, resa pubblica, ha suscitato l’indignazione di un gran numero di cittadini della vallata evidentemente solidali con il popolo del Tibet per svariate ragioni, non ultima il fatto di essere, come i tibetani, gente di montagna e costituire una “minoranza”.
Si è scatenata dunque una caccia alla bandiera da parte di privati, albergatori e ristoratori e quindi assieme a nostri soci, alla comunità tibetana e a gente della cosiddetta società civile, abbiamo deciso di manifestare la solidarietà al popolo del Paese delle nevi, come sempre pacificamente, esponendo semplicemente bandiere del Tibet durante le gare.
Per questo è stato fatta una regolare richiesta dalla nostra socia Sabina Caso alla questura di Aosta. L’autorizzazione è stata però negata. Le motivazioni, varie, comprendono anche il timore di “reazioni da parte della popolazione locale” che vedrebbe lesi i propri interessi e l’immagine turistica della zona. Inoltre si richiama all’inopportunità di esporre le bandiere di fronte alla delegazione di 52 atleti cinesi e viene valutato l’interesse pubblico della riuscita della gara contro l’interesse “privato” della manifestazione di pensiero…
Dunque la “manifestazione” non ci sarà ma in rete sono iniziati dibattiti e discussioni e molti politici e personalità locali hanno stigmatizzato pubblicamente l’imbarazzante accondiscendenza di fronte all’arroganza cinese. Siamo in clima elettorale e anche questo può servire ma anche tra i politici ci sono persone coerenti e amiche del Tibet dalla prima ora.
Il “caso” Gressoney sta dunque dilagando e La Stampa ha dedicato ben due pagine intere della cronaca locale e un articolo in nazionale. E ancora ne deve venire.
I vari giornali in rete della Valle d’Aosta hanno tutti riportato il caso, si sono aperti numerosi blog e alla cerimonia inaugurale si sono già viste alcuni manifestanti con bandiere, subito invitati dalle forze dell’ordine a farle sparire.
Di fronte a questo ennesimo episodio di intollerabile arroganza cinese si possono fare tante considerazioni. Considerazioni che, se non ci fosse di mezzo il destino tragico di popolo sottomesso e di una nazione occupata, sarebbero una buona opportunità per farci tutti delle malinconiche risate. E ringraziare ancora una volta i cinesi che, come spesso dice qualcuno: “Non ci deludono mai”.
Si ringraziarli. Noi come support group e i valdostani per il bel rumore mediatico che è scaturito da questa grottesca vicenda. Vicenda identica a tante altre nello stile e nei contenuti. Stile arrogante e ottuso che parte dall’intimazione di un ragazzo cinese a Rimini a togliere la bandiera nel negozio di un fotografo, alle minacce di Hu Jin tao al presidente Obama di non ricevere il Dalai Lama. Minacce vuote. Come sempre.
Cinesi: forti con i deboli e deboli con i forti.
Pensate un attimo se la delegazione cinese avesse fatto prevalere il buon senso e l’intelligenza alla violenza e alla prepotenza. Se fossero stati zitti e avessero ignorato lo “straccetto” ormai consunto e sbiadito, tutto si sarebbe svolto nel massimo ordine e silenzio (anche mediatico, e questo per la vallata non sarebbe stato un gran risultato…)
La bandiera avrebbe fatto il suo percorso sotto le intemperie fino al giorno in cui qualcuno avrebbe deciso di sostituirla o toglierla del tutto nella logica a noi ben conosciuta dell’impermanenza di tutte le cose. Come i lung-ta, le bandierine di preghiera tibetane e come tutto a questo mondo.
Ma i cinesi non resistono e il loro nervo scoperto, la questione tibetana, fa loro perdere completamente la lucidità. Si ricordano solo che sono un miliardo e mezzo e che pensano di tenere il mondo per il collo. Certo, contro la forza la ragione spesso non ce la fa ma alla lunga la verità prevale su tutto, e anche questa volta i nostri amici cinesi sono stati bravissimi nel darci una mano a far conoscere a tanta gente di che pasta sono fatti e a ricordare al mondo che cosa LORO stanno facendo al Tibet.
Avranno certo ottenuto di togliere una bandiera che sventolava in “territorio comunale” e quindi per qualcuno “istituzionale” ma siamo certi che le bandiere del Tibet si moltiplicheranno nei balconi, nelle finestre, nei giardini delle case della Valle di Gressoney. Con buona pace di quegli amministratori e di quei politici che temono “reazioni” della popolazione locale contro gli “agguerriti e facinorosi” sostenitori del Tibet.
Grazie dunque cari militari cinesi per questo ennesimo contributo di conoscenza che ci avete fornito gratuitamente. Ora tanta gente in più sa con chi abbiamo a che fare e quale sarà lo stile e l’atmosfera il giorno in cui sarete davvero i padroni anche a casa nostra.
Non c’è troppo tempo ma forse qualcosa si può ancora fare.
Associazione Italia -Tibet
(Milano 21 marzo 2010)