29 marzo 2023
Il Dalai Lama, leader spirituale del buddismo tibetano, ha riconosciuto in un bambino di otto anni mongolo-statunitense la decima reincarnazione di Khalkha Jetsun Dhampa Rinpoche, guida spirituale in Mongolia e terza autorità del buddismo tibetano. Secondo la stampa indiana il riconoscimento è stato formalizzato in una cerimonia svoltasi a metà febbraio nel monastero di Gandantegchinlen Khiid a Ulan Bator, cui è seguita l’8 marzo una cerimonia a Dharamshala, nello Stato indiano dell’Himachal Pradesh, dove il Dalai Lama vive. Non è chiaro se il suo nome sia Aguidai o Achiltai, ma di certo è uno dei due gemelli della famiglia Altannar (una delle principali dinastie politiche e commerciali della Mongolia). Il piccolo è figlio di un noto professore dell’Università nazionale mongola, la madre, Monkhnasan Narmandakh, è amministratrice delegata
di uno dei principali conglomerati industriali, la nonna è una ex componente del parlamento mongolo. La scelta di un bambino con passaporto statunitense potrebbe suonare a Pechino come una sfida al Partito comunista. La nona incarnazione del Khalkha Jetsun Dhampa Rinpoche era un tibetano ed è morto in Mongolia nel 2012.
In Mongolia la notizia ha destato gioia per la scelta di un proprio bimbo ma timore per la reazione della Cina. Pechino rivendica infatti il diritto di nominare direttamente i leader del buddismo tibetano. Nel 1995, un bambino di 6 anni fu scelto come nuovo Panchen Lama, la seconda figura
più importante della fede. Tre giorni dopo venne preso in custodia dalle autorità cinesi e sostituito con un altro candidato. Nel 2016, la Mongolia ha ricevuto forti lamentele da Pechino per la visita del Dalai Lama (rimasta non a caso l’ultima) in cui preannunciava la nuova incarnazione del Jetsun
Dhampa.
La questione tibetana rientra tra le storiche dinamiche conflittuali tra India e Cina. Il XIV Dalai Lama (Tenzin Gyatso), nato nel 1935, giunse esule a Dharamsala nel 1959, grazie al sostegno dell’allora primo ministro dell’India, Jawaharlal Nehru, con un seguito di 120 mila tibetani, dopo la
repressione cinese della sollevazione del movimento di resistenza del Tibet. Nel 2019, parlando in occasione del 60mo anniversario del suo arrivo come esule dal Tibet, il Dalai Lama, che ha 87 anni, dichiarò che il suo successore potrebbe essere individuato in India. Il leader spirituale del buddismo tibetano ipotizzò anche che dopo la sua morte potrebbero esserci due Dalai Lama, uno dei quali scelto dalla Cina. Infine, secondo la guida spirituale buddista, potrebbe anche non essercene alcuno.
Se ci sarà un nuovo Dalai Lama, comunque, non avrà un ruolo politico, precisò allora l’attuale Dalai Lama, premio Nobel per la pace, che dal 2001 non ha più responsabilità’ politiche.
«Nessun governo dovrebbe avere alcun ruolo in questa questione spirituale e penso che sia molto più saggio per la Cina (non interferire)», ha dichiarato a Kyodo News il presidente del governo tibetano in esilio Penpa Tsering. Il suo esecutivo non viene riconosciuto da Pechino ma ha il
sostegno dell’India, che lo ospita sin dal 1959 e dalla fallita rivolta contro Mao Zedong in Tibet.
Il 6 luglio 2022 il primo ministro indiano, Narendra Modi, ha reso noto di aver avuto un colloquio telefonico col Dalai Lama nella giornata del suo 87mo compleanno. Modi, al governo dal 2014, ha confermato pubblicamente di avere interlocuzioni col leader spirituale per la prima volta nel 2021, sempre in occasione del compleanno. In risposta, il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian ha ribadito che gli affari legati al Tibet sono affari interni della Cina, che Pechino non tollera
interferenze da parte di forze esterne e che si oppone fermamente a ogni forma di contatto tra funzionari stranieri e il Dalai Lama. «Il XIV Dalai Lama è un esule politico travestito da figura religiosa che da tempo è impegnato in attività separatiste anti-cinesi», ha dichiarato il portavoce.
«La parte indiana deve comprendere appieno la natura anti-cinese e separatista del XIV Dalai Lama. Deve rispettare i suoi impegni nei confronti della Cina sulle questioni relative al Tibet, agire e parlare con prudenza e smettere di usare le questioni relative al Tibet per interferire negli affari
interni della Cina», ha avvertito. Il portavoce del ministero degli Esteri dell’India, Arindam Bagchi, ha replicato sostenendo che è una «politica coerente del governo trattare Sua Santità il Dalai Lama come un ospite d’onore in India, un rispettato leader religioso che gode di un ampio seguito in India» e che «a Sua Santità sono accordate le dovute cortesie e la libertà di svolgere le sue attivita’ religiose e spirituali».
Nonostante la sinizzazione del Tibet proceda a ritmo sostenuto (anche nei messaggi in inglese il governo cinese usa ora il suo nome in mandarino, Xizang), diversi abitanti della regione autonoma potrebbero essere tentati dal rispettare il successore scelto dal Dalai Lama. Forti rischi soprattutto
per i già tesi rapporti tra Cina e India. La situazione al confine conteso, proprio in corrispondenza del Tibet, è stata definita «fragile e pericolosa» da Nuova Delhi. Sullo sfondo gli Stati Uniti, che come rivelato nei giorni scorsi hanno messo per la prima volta a disposizione dell’esercito indiano
informazioni satellitari durante gli scontri di dicembre coi militari cinesi. Avendo ora incarnazione divina col proprio passaporto, l’interesse di Washington non potrà che rafforzarsi.
di Monica Ricci Sargentini
Corriere della Sera – 29 marzo 2023