MANDIAMOLI A CASA

Campagna di sensibilizzazione promossa dall’Associazione Italia-Tibet La campagna anche sul settimanale INTERNAZIONALE a partire dal numero in edicola il 3 settembre. (Altre uscite: 18 settembre – 2 ottobre – 16 ottobre – 30 ottobre – 13 novembre – 27 novembre – 11 dicembre – 25 dicembre.) I tibetani in esilio (oggi circa 170.000) stanno faticosamente … Leggi ancora

Appello per la cessazione di tutte le sentenze capitali

27 ottobre 2009. Mentre ancora non è accertato il numero esatto dei tibetani uccisi a Lhasa (i giorni scorsi era circolata la voce che le persone fucilate fossero quattro), il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Ma Zhaoxu, ha confermato la notizia dell’esecuzione di due tibetani. Si tratta di Lobsang Gyaltsen, ventisette anni, di Lhasa, e di Loyak, venticinque anni, di Tashi Khang, Shol Township, periferia della capitale tibetana.
La notizia è stata confermata anche dal Ministero degli Esteri britannico. Il 23 ottobre, alcuni funzionari ministeriali hanno preso contatto con l’ambasciata cinese a Londra che ha dato conferma del numero e delle generalità dei due tibetani uccisi. L’ambasciata cinese ha smentito l’uccisione di altri due prigionieri politici definendo genericamente “voci” le notizie circolate in questi giorni.

Secondo un comunicato diffuso il giorno 8 aprile 2009 dall’agenzia di stato Xinhua, Lobsang Gyaltsen era stato condannato a morte per aver appiccato il fuoco a un negozio, a Lhasa, durante le manifestazioni del marzo 2008, provocando la morte del proprietario. A Loyak era stata sentenziata la stessa pena per aver incendiato un negozio di motociclette e provocato la morte di cinque persone. Radio Free Asia riferisce che, prima di morire, è stato concesso a Lobsang Gyaltsen di vedere sua madre. Queste le sue ultime parole: “Non ho nulla da dire se non, per favore, abbi cura di mio figlio e fallo andare a scuola”.

Lettera di petizione per fermare l’esecuzione dei tibetani condannati a morte

È in corso l’invio di una lettera di petizione da inviare al Ministro della Giustizia cinese per fermare l’esecuzione delle condanne a morte sentenziate lo scorso 8 aprile 2009 nei confronti di quattro tibetani coinvolti nelle manifestazioni del marzo 2008 a Lhasa. La lettera di petizione sarà automaticamente inviata. Assieme ai tibetani e al tutte … Leggi ancora

Campagna di raccolta firme contro la condanna a morte di Tenzin Delek Rimpoche

Gennaio 2004 Raccolte 15.000 firme per l’Appello Urgente a favore di Tenzin Delek Nel gennaio 2004 una mobilitazione mondiale in favore di Tenzin Delek Rinpoche si è proposta di raccogliere firme di adesione all’appello al premier e al ministro di giustizia cinese, al governatore della provincia del Sichuan. In Italia l’appello è stato rivolto anche … Leggi ancora

La liberazione di Ngawang Sangdrol

Ngawang Sangdrol, una monaca tibetana del monastero femminile di Garu, 5 km a nord di Lhasa, era stata arrestata per la prima volta nel 1990, a 13 anni, per aver gridato slogan indipendentisti. In quell’occasione era stata rilasciata dopo nove mesi perché era troppo giovane per essere processata ma le venne impedito, in quanto ex prigioniera politica, di rientrare nel suo monastero.
Nel 1992 venne arrestata di nuovo per aver partecipato ad una manifestazione indipendentista non violenta, a Lhasa. Questa volta fu processata e condannata a tre anni di reclusione. L’anno successivo, mentre si trovava in detenzione nel carcere di Drapchi, incise di nascosto, assieme ad altre 13 compagne di detenzione, un’audiocassetta con canzoni, poesie e slogan indipendentisti. La cassetta fu poi fatta uscire clandestinamente dal carcere e riprodotta in centinaia di copie fatte circolare per tutto il Tibet. Le quattordici monache furono condannate ad incrementi di pena variabili fra i tre e i nove anni. A Ngawang Sangdrol furono comminati altri sei anni di detenzione, portando la durata della sua condanna a nove anni.
In seguito Ngawang, assieme ad altre detenute, rifiutò di fare le pulizie all’interno del carcere in segno di protesta contro la campagna di rieducazione cui erano state sottoposte affinché riconoscessero l’incarnazione del Panchen Lama indicato dai cinesi. Nel corso di questa protesta aveva infranto alcune regole del regolamento carcerario. Secondo un testimone, che ha chiesto di mantenere l’anonimato, Ngawang e altre tre monache, obbligate a rimanere in piedi sotto la pioggia come punizione per non aver pulito la loro cella, sarebbero state violentemente picchiate da un gruppo di soldati, per aver gridato “TIBET LIBERO”.