Segnali di resistenza, non atti disperati

Un articolo di Christophe Besuchet

2 febbraio 2012. Pubblichiamo questo interessante e stimolante articolo di Christophe Besuchet che, da un diverso punto di vista rispetto al comune sentire, ci aiuta a dare un senso ai numerosi casi di auto immolazione avvenuti in Tibet. Non si tratta – afferma l’autore – di atti dettati dalla disperazione ma di consapevoli ed eroici atti di resistenza destinati non solo a dare speranza ma anche ad unire e ispirare milioni di tibetani che si battono contro l’oppressione cinese.

“DIECI, CENTO, MILLE WUKAN” – CAMPAGNE CINESI IN RIVOLTA

di Paolo Solom

Corriere della Sera – 28 gennaio 201


La parola d’ordine corre di villaggio in villaggio. “Impariamo da Wokan”, gridano i contadini e residenti stufi delle “prepotenze” di costruttori e funzionari locali che – spesso in combutta – strappano loro, letteralmente, la terra sotto i piedi. Perché la Cina non si può fermare. Deve continuare a costruire, espandersi, produrre. Autostrade, ferrovie, palazzi: intorno alle megalopoli lo spazio vale oro, mentre spesso chi lo abita non vale nulla, almeno agli occhi di chi ha obiettivi “più alti”.

La “rieducazione” del Tibet e l’escalation dei suicidi

di Marco Del Corona

Corriere della Sera, 10 gennaio 2012


Il Tibet non brucia, a bruciare sono i tibetani. Un monaco del Qinghai (regione che appartiene all’area del Tibet storico), si è immolato domenica alle 6 del mattino, cospargendosi di kerosene e deglutendone sorsate, prima di darsi fuoco. Un venerato “Buddha vivente”, Tulku Sonam Wangyal, la cui morte è stata rivelata dall’autoproclamato governo tibetano in esilio e da Radio Free Asia ma confermata anche dall’agenzia cinese Xinhua. Macabri i dettagli riportati dalla radio, come il corpo che “esplodeva in pezzi”. Quando la polizia ha preso in consegna il cadavere, una folla di tibetani ha assediato il comando per reclamare le spoglie. Che sono state poi esibite in corteo. “E’ il primo suicidio di un lama reincarnato”, nota l’organizzazione International Campaign for Tibet che denuncia “una correlazione diretta fra la repressione del buddhismo tibetano da parte del Partito comunista e l’immolazione di Tulku Sonam Wangyal”, che aveva 42 anni.

E nel Tibet è scattata la rivolta gandhiana

di Piero Verni

Il Riformista, 25 novembre 2011

 

Un’autentica statua di fuoco. In piedi, immobile e avvolta dalle fiamme. Sono le  immagini terribili dell’immolazione della monaca Palden Choetso diffuse nei giorni scorsi da un gruppo di sostegno alla causa tibetana. Fotogrammi atroci che più di ogni parola dimostrano quanto la situazione nel Tibet occupato da Pechino sia ben lungi dall’essere normalizzata. Dodici persone che si danno fuoco per protesta in un breve arco di tempo parlano sia della crescente disperazione sia della caparbia volontà dei tibetani di non accettare il dominio cinese. Inoltre domani scadrà l’ultimatum della polizia ai monaci del monastero di Ragya, nella regione settentrionale dell’Amdo (oggi incorporata nella provincia del Qinghai) dove da alcuni giorni è stato esposta una gigantesca effige del Dalai Lama affiancata da due grandi bandiere del Tibet indipendente. E le truppe di Pechino sono rientrate nel monastero di Kirti (area sud-occidentale dello Sichuan) teatro di alcune delle recenti immolazioni.

Torce umane in nome del Tibet. Il Dalai Lama: Genocidio culturale

di Giampaolo Visetti

La Repubblica – 8 novembre 2011

 

PECHINO – Nell’indifferenza del mondo, il Tibet consuma la sua ultima tragedia. Monaci e suore dei monasteri buddisti, assediati dall’esercito cinese, non desistono dall’appiccarsi il fuoco per opporsi alla repressione di Pechino, che da marzo ha ripreso a svuotare i conventi fedeli al Dalai Lama. Dodici in poche settimane le vittime di sacrifici: un dramma senza precedenti nella storia della resistenza tibetana, sempre ispirata alla non violenza.