I pieni poteri del Dalai Lama

di Piero Verni

(Il Riformista – 17 novembre 201)


“Quando, quel 17 novembre 1950, i membri del governo tibetano vennero a chiedermi di assumere subito la carica di capo dello stato fui preso dal panico. Avevo solo sedici anni, nessuna esperienza politica e per di più i miei studi non erano ancora terminati. All’inizio tentai di rifiutare ma poi mi convinsi che non c’erano alternative, non potevo evitare le mie responsabilità”. Con queste parole il Dalai Lama mi raccontò come fu che assunse la carica di leader politico, oltre che spirituale, della nazione tibetana.

Cina: il dissenso invisibile. Pechino, la protesta all’ombra del Nobel

di Giampaolo Visetti

(La Repubblica, 27 ottobre 2010)

 

Un fatto è certo. A Liu Xiaobo, l’8 ottobre, è stato assegnato il premio Nobel per la pace. Tutto il resto è incerto. Questoè oggi, in Cina, il dissenso. Una sconfinata zona grigia, invisibile e non rappresentabile, che inghiotte nel silenzio migliaia di persone. All’improvviso scompaiono. Nessuno può dimostrare chi le sequestri. Non si sa dove siano, fino a quando. Qualcuno, dopo anni, riemerge dal buio dello Stato. È un altro, invecchiato. Sussurra di essere stato torturato, sparisce di nuovo. Non ci sono tombe. Viene da dubitare che qui si possa in realtà morire, per un’idea. Perché la vita, nell’altra Cina presentabile, continua come nulla fosse: cantieri, shopping, Borse, industrie, successo, promesse di felicità, record. Gli impresentabili, in Occidente, li consideriamo dissidenti. In Oriente li definiscono traditori. La maggioranza dei cinesi non sa che esistono. La minoranza è indifferente. Ignoranza ed incertezza si trasformano in dubbio: il dissenso cinese esiste, o è il parto politico della montante ostilità straniera contro Pechino? Questa sospensione, che annulla il presente raddoppiandolo, è la forza del potere. I giorni sono passati e la felicità per la scelta di Oslo si è spenta in una paura nuova. Che il Nobel sia stato un premio alla memoria del dissenso cinese, la lapide mai deposta in piazza Tienanmen. La parola fine. Oppure l’ultima fiamma, fatta divampare per riaccendere il rifiuto di vivere prigionieri della patria. Un seme conservato per il futuro, non un fiore che oggi può sbocciare.

Un piano “sovietico” per il boom cinese

E il probabile successore di Hu Jintao prova a scalare la nomenclatura


di Marco Del Corona

(Corriere della Sera, 16 Ottobre 2010)


L’hotel Jingxi non è un bunker. Ma il Comitato centrale del Partito comunista, 371 tra membri permanenti e a rotazione, rischia di viverlo così. Il plenum, appuntamento annuale di definizione delle politiche del Pcc, si è aperto lì ieri e cade in un momento gonfio di inquietudine. L’assegnazione del Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiaobo ha scatenato l’ira di Pechino dando nuovi argomenti ai sostenitori del complotto anti-cinese dell’Occidente. Il tira e molla sulla rivalutazione del renminbi rischia d’intensificarsi ulteriormente. E si moltiplicano le sollecitazioni ad avviare riforme politiche, tema cui ha fatto riferimento più volte il premier Wen Jiabao: ancora ieri, dopo un documento sulla libertà di stampa, una seconda lettera firmata da circa 200 intellettuali definiva “Una splendida scelta” il Nobel a Liu Xiaobo e ne invocava la liberazione.

Cina: cambiamenti in vista?

di Piero Verni

(Il Riformista – 15 ottobre 2010)

La risposta, almeno per il momento, è stata come da copione. Da vecchio copione. Pechino ha reagito all’assegnazione del Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiaobo con la consueta durezza. L’ambasciatore di Oslo in Cina è stato convocato dal ministro degli esteri cinese il cui portavoce ha dichiarato che questo Nobel è “… un tentativo di attacco contro la nostra Nazione”. Una visita della ministra norvegese Lisbeth Berg-Hansen, prevista da mesi, è stata cancellata. La moglie di Liu messa agli arresti domiciliari e quanti volevano festeggiare il primo cittadino cinese ad avere ricevuto il prestigioso Premio portati in prigione. Infine la versione in lingua inglese del “Quotidiano del Popolo”, ha tuonato contro “l’arrogante” comitato del Nobel e definito “blasfema” la sua scelta. Insomma tutto sembrerebbe andare come di norma. La solita chiusura di Pechino a qualsivoglia critica e l’altrettanto solita reazione esasperata.

Xiaobo, l’attivista senza paura nato dal sangue di Tienanmen

di Giampaolo Visetti

“NON HO nemici: è la mia ultima dichiarazione”. Dopo vent’anni di persecuzioni Liu Xiaobo, simbolo della dissidenza cinese, ha moralmente vinto il premio Nobel per la pace il 25 dicembre 2009. Era il giorno di Natale, la stampa occidentale non sarebbe uscita per due giorni.
Pechino era svuotata di giornalisti stranieri. Il tribunale della capitale chiuse un anno di istruttorie segrete con la sentenza-farsa che si è rivelata ieri il peggiore passo falso del regime: undici anni di prigione per “incitamento alla sovversione ai danni dello Stato”. L’oppositore più imbarazzante del Paese, cristiano, colpevole di aver promosso “Charta 08”, affidò alla moglie Liu Xia il suo messaggio per gli amici: “Inizia oggi la corrosione finale della nostra patria. Nel dolore, per noi è un giorno di speranza”.