di Marco Del Corona
Pechino – Erano davanti al caseggiato dove la moglie di Liu Xiaobao vive senza di lui, mescolati agli agenti in borghese. Gli amici di Liu si guardano in giro. Avevano firmato Charta 08, alcuni la pensano come lui e nelle università provano, con prudenza, a lasciarlo capire. Altri si sono ritrovati alla spicciolata in sale da tè, per festeggiare, il passaparola – telefonate veloci, sms, Twitter – indirizzava poi a una celebrazione con numeri pirotecnici, nei sobborghi. “Ci arresterebbero legittimamente, niente fuochi d’artificio in città”. Location provocatoria, dalle parti della sede della Scuola centrale del Partito comunista. E invece no. Alle 9, un’ora prima dell’appuntamento, tutto rimandato. “Ne hanno fermati almeno due”, diceva nella notte al Corriere uno dei partecipanti mancati, mentr l’agenzia di stampa Efe citava l’avvocato Teng Biao: “Una ventina di arresti”. Anche se leggi e nuove direttive spingono per prassi giudiziarie e di polizia meno violente e arbitrarie, chi entra in rotta di collisione col potere sa di doversi aspettare la visita notturna, gli oggetti confiscati, il “venga con noi” (e magari si prepara a sparire per mesi, come l’avvocato Gao Zhisheng, ricomparso dopo un anno in un monastero e poi scivolato ancora nell’ombra).