La Cina è lontana

02 gennaio 2010 (www.unità.it) Persino Apple, l’azienda di “think different” ha dovuto cedere. Operando una censura sulle applicazioni per iPhone che riguardano il Tibet e il Dalai Lama. Chi utilizza un iPhone in Cina, e vuole scaricare quelle applicazioni non può farlo, perché Apple le ha tolte. Reporter senza frontiere, in una nota indignata, ha … Leggi ancora

Un satyagraha di massa per il Tibet

di Francesco Pullia

Può il Tibet stare nella Cina come il Sud Tirolo-Alto Adige nel nostro Stato? Il quesito, non privo di risvolti shakespeariani, si ripresenta ogniqualvolta capiti di ascoltare il Dalai Lama e la sua proposta di soluzione di una vicenda che si protrae ormai da quasi sessant’anni, da quando cioè le truppe della Cina comunista, in aperta violazione del diritto internazionale e, diciamolo pure, nel pieno disinteresse dei governi occidentali, invasero il Paese delle Nevi sotto la spinta della rivoluzione maoista.

Il Muro di Pechino, il Tibet e i cattivi consiglieri del Dalai (Lettera aperta a Francesco Pullia)

di Piero Verni

Caro Francesco,

un tuo articolo (“Nonviolenza e autonomia per il Tibet, la ragionevole via del Dalai Lama”, pubblicato sul numero del 18 novembre di Notizie Radicali, il benemerito giornale telematico di Radicali Italiani) mi costringe a buttar giù un paio di pensierini sul problema del Tibet in concomitanza con la presenza del Dalai Lama in Italia. Erano anni che mi tenevo alla larga dal circo mediatico-politico che si scatena puntualmente in occasione delle (numerose) visite del Dalai Lama nell’ex Bel Paese. Fino ad ora non avevo mai voluto commentare il patetico spettacolo di politici dall’intermittente interesse per il Tibet, di cui conoscono poco o nulla, ma che si fanno vivi quando, grazie alla presenza del leader tibetano, si accendono i riflettori dell’informazione. Per poi defilarsi immediatamente non appena questi si spengono in attesa di ripresentarsi puntuali alla prossima occasione. Ti faccio un esempio concreto. Tra i tanti che si potrebbero fare. Essendo un assiduo ascoltatore della pregevole Radio Radicale (a proposito, auguri di cuore a Bordin e soci per il rinnovo della convenzione) ho avuto più volte l’occasione di sentire l’ineffabile Giovanna Melandri, appunto uno dei politici sempre in prima fila quando arriva il “Dalai” (lei lo chiama così), affermare che “nessuno” vuole l’indipendenza del Tibet. Allora mi chiedo, dove era la solerte deputata del PD quando solo poche settimane or sono tre giovani tibetani sono stati messi a morte a Lhasa proprio per aver chiesto l’indipendenza del Tibet? E, già che siamo in argomento, dove era quando il 9 novembre sono state eseguite le condanne capitali di nove uiguri che avevano manifestato per l’indipendenza del Turkestan Orientale? No, tanto per saperlo.

Nonviolenza e autonomia per il Tibet, la ragionevole via del Dalai Lama

di Francesco Pullia

Lo hanno dipinto come un uomo solo, amato dalla sua gente, dai tibetani che lo chiamano Kundun, Presenza, riconoscendo in lui l’incarnazione del bodhisattva della Compassione, cioè di un essere supremo che, spinto da profondo amore per tutti gli esseri senzienti, ha scelto di tornare in questa vita per stare al nostro fianco e indicarci la via della liberazione dalle catene della sofferenza, del dolore. E di sofferenza e dolore, lui ne ha provato e ne prova tanto, ascoltando i racconti dei profughi che, sfidando prove inenarrabili, lo raggiungono in India, a Dharamasala.

Abbattiamo il Muro di Pechino

di Wei Jingsheng

Prima che il Muro di Berlino venisse abbattuto, molti cinesi ne conoscevano la realtà. In effetti, erano più informati degli stessi russi. Il Partito comunista cinese aveva infatti lanciato una grande battaglia contro i Partiti dell’Unione Sovietica e quelli dell’Europa orientale, e tutti i giornali cinesi non perdevano l’occasione per scandagliare queste realtà e analizzare con la lente di ingrandimento i “lati oscuri”di quei regimi. Era l’unica occasione, per la nostra opinione pubblica, di criticare il sistema comunista: parlare male del regime di Pechino significava andare in galera, ma attaccare ferocemente “il comunismo sovietico” era legittimo e addirittura incoraggiato. E quindi, persino Josip Tito o Palmiro Togliatti -leader comunisti dell’allora Jugoslavia e dell’Italia – erano ben conosciuti dalla nostra società. In ognuna di quelle conversazioni,veniva citato il Muro di Berlino.