Obama, il Nobel, e la visita del Dalai Lama

di Anthony M. Quattrone
(Avanti!, 16 ottobre 2009)
L’annuncio fatto lo scorso venerdì che il premio Nobel per la pace per il 2009 sarà assegnato a Barack Obama è sorprendente, perché il giovane presidente americano non ha ancora avuto il tempo necessario per portare a termine qualche importante iniziativa in politica estera, nel bene o nel male. Lo stesso Obama è apparso alquanto sorpreso dall’attribuzione del premio, e ha immediatamente dichiarato che lo considera più una “chiamata all’azione” per una politica di pace da parte sua, dell’America, e delle persone di buona volontà, piuttosto che un riconoscimento per qualcosa che avrebbe fatto.

Obama e il Dalai Lama, il Nobel a chi non ha voluto incontrare un Nobel

di Marco Del Corona

(www.corriere.it, 9 ottobre 2009)

C’è uno stridore – o un apparente stritore – che può colpire la pubblica opinione occidentale. A ricevere il Nobel per la Pace è quel Barack Obama che pochi giorni fa non ha voluto incontrare un altro Nobel per la Pace, il Dalai Lama, in visita a Washinghton. Che invece si è visto con Nancy Pelosi, democratica, figura comunque di prestigio dell’estabilishment obamiano.

I 60 anni della Repubblica popolare cinese: il Partito contro il popolo

di Bernardo Cervellera (AsiaNews).

28 settembre 2009

Roma (AsiaNews). Il 1° ottobre 2009 la Repubblica popolare cinese compie 60 anni dalla sua fondazione. Per la cultura dell’estremo oriente, compiere 60 anni riveste uno speciale significato: i sei decenni racchiudono un ciclo completo del calendario lunare e sono considerati il momento in cui un uomo raggiunge la piena maturità. Essi sono pure un tempo per riflettere sui risultati ottenuti e un augurio per nuove sfide future.

Noi ci auguriamo che anche i 60 anni della Cina popolare abbiano questo spirito, ma da ciò che vediamo, la festa rischia di essere usata solo per dare un’immagine grandiosa del potere di Pechino, nascondendo i problemi. Un po’ come per le Olimpiadi dello scorso anno, anche le celebrazioni in programma dal 1° ottobre vogliono mostrare al mondo la maturità raggiunta dalla Cina sotto la guida del Partito comunista cinese (Pcc), gli splendidi risultati economici, che la vedono come una superpotenza, il suo potere disteso ormai su tutta l’Asia e il mondo.

Tibet islamico, la spina di Pechino

di Federico Rampini

reut_16197870_28570LA CINA è stata colta alla sprovvista dall’esplosione di rabbia nel “Tibet islamico”, la vasta regione dello Xinjiang popolata dalla minoranza etnica degli uiguri. Ma la reazione del governo di Pechino sarà più rapida, rispetto al ritardo di almeno 48 ore con cui scattò la macchina repressiva in Tibet nel marzo 2008. Sono sintomatiche le immagini televisive degli scontri a Urumqi (capitale dello Xinjiang): sono tutte riprese della tv di Stato Cctv, eppure sono di una violenza terrificante. Ai telespettatori cinesi non viene nascosto apparentemente nulla: i tg esibiscono sangue a cui l’opinione pubblica non è abituata quando si tratta di “casa propria”.

Le ragioni di una rivolta

di Claudio Tecchio
Una Premessa
Oggi per completare la pulizia etnica nei territori occupati il regime cinese alimenta ,con un sapiente uso dei media di stato ,le tensioni “razziali” e cerca di contrapporre ai contadini ed agli operai uyghuri e tibetani in rivolta i coloni frustrati da anni di inutili sacrifici.
I gerarchi alimentano il “nazionalismo” Han additando i rivoltosi come responsabili delle violenze scatenate dalla polizia cinese,come barbari ingrati che impediscono il decollo dell’economia coloniale.
In Turkestan orientale,come in Tibet, le popolazioni autoctone diventano così il capro espiatorio sul quale sfogare la rabbia e la frustrazione per una crisi che rischia ormai di travolgere il “modello di sviluppo cinese”.