Piazza Tienanmen. L’autogol del partito comunista cinese, costretto ad autocensurarsi a 26 anni dal massacro

di Leone Grotti

4 giugno 2015

 

Ventisei anni dopo il massacro di Piazza Tienanmen in Cina è cambiato tutto, tranne una cosa: la paranoia del regime comunista. L’Impero di Mezzo è più ricco, più moderno e più potente ma anche quest’anno a Pechino, e nel resto della Cina, nessuno potrà commemorare l’uccisione da parte dell’esercito di Liberazione del popolo di oltre 2 mila studenti.

La passione della Cina per la censura in rete

di Gian Luca Atzori

29 marzo 2015

 

 

“Se si apre la finestra per cambiare aria, ci si deve aspettare che entri anche qualche mosca”: queste parole costituivano uno tra i detti favoriti da Deng Xiaoping durante la sua era di apertura e riforme, ma per molti rappresentano tuttora il background ideologico della moderna censura cinese.
La Cina vanta il più avanzato sistema di controllo della storia dell’umanità, capace di contare quasi due milioni di impiegati che sorvegliano il web.

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La lunga bugia

di Piero Verni

1310845-Mao_ZedongL’altro ieri ho ascoltato in podcast la trasmissione di WikiRadio andata in onda su Rai Radio 3 il 16 ottobre 2014 e dedicata alla Lunga Marcia di Mao di cui ricorreva quel giorno l’80° anniversario. Confesso di essermi sentito trasportare indietro nel tempo, non tanto per il fatto che si parlava di un episodio storico avvenuto tra il 1934 e il 1935 dello scorso secolo ma per l’atmosfera rétro che permeava la forma e il contenuto del racconto curato da Guido Samarani, professore di Storia della Cina e Istituzioni dell’Asia Orientale presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Era come se fossi tornato, grazie ad un colpo di bacchetta magica radiofonica, al formidabile decennio della mia giovinezza (1968-1978) quando il mito maoista dilagava nelle nostre esistenze di ventenni in rivolta che vedevamo, per dirla con Giorgio Gaber, “… la Cina come una poesia, il comunismo come il paradiso terrestre”.

TRE INUTILI BIGLIETTI DA HONG KONG A TIENANMEN

Corriere.it
15 novembre 2014

Sono passati quasi due mesi da quando decine di migliaia di studenti di Hong Kong hanno occupato le strade della città per reclamare elezioni libere nel 2017. In queste sette settimane ci sono stati pochi incidenti, un centinaio di feriti, alcuni fermi. La Cina è stata a guardare. Si è detto che non ci sarebbe stata repressione immediata perché a Pechino aspettavano i capi di governo dei Paesi Asia-Pacifico, non si poteva rovinare il palcoscenico di grandezza. Ora il vertice è finito, Obama è partito. In strada a Hong Kong restano poche centinaia di tende dei ragazzi. Ma l’altro giorno, proprio parlando di fronte a Obama, il presidente Xi Jinping ha detto che la situazione a Hong Kong è «illegale» e che «sono affari interni cinesi, gli stranieri non devono interferire, legge e ordine vanno ristabiliti».