Il Tibet nella morsa della Cina

di Ernesto Corvetti

10 aprile 2014

 

 

La libertà, in Tibet, passa anche dalla tutela della lingua. Per evitare di farsi fagocitare definitivamente dalla Cina, il governo della regione autonoma ha deciso di elaborare nuove regole per preservare e promuovere la lingua tibetana, a rischio estinzione.
Il Comitato di lavoro sulla lingua tibetana – organismo regionale creato nel 1988 – e le altre autorità sarebbero intenzionate vararle a settembre, secondo quanto ha riportato la Xinhua.
In pratica, la legge dovrebbe sancire con precisione i diritti linguistici dei tibetani, visto che finora le norme si prestavano all’interpretazione – cioè anche all’arbitrio – dei singoli funzionari.

Vivere in Tibet sotto il controllo della Cina

di Guido Santevecchi

Il controllo cinese sta causando profondi cambiamenti nella società tibetana.
Reparti di sicurezza cinesi in uniforme nera, con i caschi, manganelli in pugno sono stati visti marciare per le strade di Lhasa e delle città principali nelle province tibetane in questi giorni. Una manifestazione di forza «senza precedenti», secondo le fonti che hanno riferito l’avvenimento a “Radio Free Asia”. La polizia della Repubblica popolare ha voluto mandare un segnale inequivocabile, a 55 anni esatti dal marzo del 1959, quando a seguito di un’insurrezione anti-cinese fallita il Dalai Lama fuggì dalla regione. Blindati dei reparti paramilitari sono stati piazzati sulle strade d’accesso, i viaggiatori tibetani vengono fermati, identificati e interrogati, racconta l’emittente. Il Dalai Lama è dall’altra parte del mondo. «La Cina è una grande nazione, ma il suo sistema di governo è dannoso», ha detto a fine febbraio il leader tibetano in esilio che sta facendo un giro di conferenze negli Stati Uniti ed è stato ricevuto alla Casa Bianca dal presidente Obama, scatenando le consuete proteste di Pechino. «I cinesi hanno il diritto di conoscere la realtà. E una volta che oltre un miliardo di cinesi conosceranno questa realtà saranno davvero in grado di distinguere tra ciò che è bene e ciò che è male», ha detto dal pulpito della cattedrale di Washington. Ma è molto probabile che la realtà di cui parla il Dalai Lama, i cittadini cinesi non la conosceranno. La polizia cinese il 4 marzo ha arrestato un monaco tibetano nella prefettura di Chamdo della Regione autonoma del Tibet: l’accusa è di aver cercato di condividere informazioni «politicamente sensibili» dal suo cellulare, secondo una fonte locale. Pochi giorni prima, un altro monaco era stato picchiato per aver nascosto scritti e video vietati. Anche qui la fonte è dell’opposizione ed è stata rilanciata da Radio Free Asia.

Tibet, per non dimenticare

di Francesco Pullia

 

Ancora una immolazione in Tibet, la 127ma dal 2009. Secondo quanto riferisce il sito Phayoul, giovedì 13 febbraio si è dato fuoco, inneggiando slogan contro l’oppressione cinese, Lobsang Dorje, 25 anni, ex monaco del monastero di Kirti nella regione di Ngaba (Aba per i cinesi).
L’Europa resta muta a guardare. E se, come nel caso della Spagna, tenta di far sentire la propria voce, di avere un sussulto di dignità, Pechino interviene subito, esercitando il suo potere economico in modo ricattatorio. Il Partito Popolare spagnolo ha, infatti, votato in solitaria una riforma della giustizia universale causando di fatto l’annullamento di decine di cause aperte, a partire da quella sfociata in un mandato di cattura internazionale contro l’ex-presidente cinese Jiang Zemin giudicato colpevole dalla magistratura spagnola di crimini contro l’umanità e genocidio in Tibet. Il verdetto contro Zemin, capo dello Stato tra il 1993 e il 2003, aveva innescato una durissima reazione diplomatica di Pechino, poche ore prima che il Partito popolare votasse in blocco la riforma che limita al territorio nazionale la giurisdizione spagnola in casi del genere. La controversa riforma limita i poteri dell’Audiencia Nacional, massima istanza giuridica spagnola e tribunale unico nel suo genere in Europa, restringendo l’applicabilità di una norma entrata in vigore nel 1985.
In prossimità del 55° anniversario dell’insurrezione di Lhasa (10 marzo 1959), intanto, anche in Italia fervono i preparativi da parte degli esuli tibetani e delle associazioni che si battono per il popolo tibetano per l’organizzazione di una grande manifestazione che ricordi a tutti la tragedia in corso sul “Tetto del Mondo”. A Roma l’appuntamento è per domenica 9 marzo, in piazza Farnese, alle ore 15. Ma cosa accadde il 10 marzo del 1959 a Lhasa?