Il premier tibetano in esilio: “Noi trattati come terroristi”
di Mauro Pianta
La Stampa.it, 28 ottobre 2012
L’Europa non deve temere la Cina e ha il dovere di esercitare pressioni su Pechino per la causa tibetana: difendere il Tibet significa difendere la democrazia. Siete preoccupati per i vostri rapporti commerciali con il Celeste Impero? Sbagliate: se è vero che il mondo ha bisogno della Cina, è altrettanto vero che loro hanno bisogno dei vostri mercati». Lobsang Sangay, 44 anni, primo ministro del governo tibetano in esilio, non ama lasciarsi imbrigliare dai toni felpati della diplomazia. Giurista e ricercatore ad Harvard, eletto dai tibetani sparsi per il mondo premier di un’amministrazione in esilio in India ed erede di una responsabilità politica affidatagli dal Dalai Lama, ha una missione da compiere: ricordare l’invasione cinese del Tibet avvenuta nel 1950, denunciare il genocidio culturale di un popolo. Chiedono due cose, i tibetani: il ritorno in patria del loro Dalai Lama, e una «reale autonomia amministrativa» del Paese. Richieste che Lobsang Sangay sta ribadendo in questi giorni in giro per l’Europa.