di Marco Del Corona
Corriere della Sera, 10 gennaio 2012
Il Tibet non brucia, a bruciare sono i tibetani. Un monaco del Qinghai (regione che appartiene all’area del Tibet storico), si è immolato domenica alle 6 del mattino, cospargendosi di kerosene e deglutendone sorsate, prima di darsi fuoco. Un venerato “Buddha vivente”, Tulku Sonam Wangyal, la cui morte è stata rivelata dall’autoproclamato governo tibetano in esilio e da Radio Free Asia ma confermata anche dall’agenzia cinese Xinhua. Macabri i dettagli riportati dalla radio, come il corpo che “esplodeva in pezzi”. Quando la polizia ha preso in consegna il cadavere, una folla di tibetani ha assediato il comando per reclamare le spoglie. Che sono state poi esibite in corteo. “E’ il primo suicidio di un lama reincarnato”, nota l’organizzazione International Campaign for Tibet che denuncia “una correlazione diretta fra la repressione del buddhismo tibetano da parte del Partito comunista e l’immolazione di Tulku Sonam Wangyal”, che aveva 42 anni.