Così Pechino cambia faccia al Tibet: Il Buddismo diventa un business

di Lucia Pozzi

Il Messaggero.it  – 27 agosto 2011

 

 

LHASA – E’ tutto diverso il volto di Lhasa da quel 14 marzo del 2008 che ne insanguinò le strade. Non si fa più tappa obbligata davanti ai resti della guerriglia lungo la Beijing Rd, l’arteria principale che segna la città passando di fronte al Potala, con quei negozi messi a ferro e fuoco che per diversi mesi Pechino aveva ordinato di mostrare ai media stranieri per far vedere quanto fosse stata violenta la sommossa dei tibetani contro i cinesi Han. Tornare oggi a Lhasa, con un gruppo di giornalisti invitati dal governo centrale, significa assistere a tutt’altro film: quello di un agglomerato urbano che si espande sempre più velocemente come una qualunque città cinese, con l’ansia di modernizzazione che soffoca le radici di una spiritualità antica; quello di un’idea di sviluppo e di progresso che fa del cuore del buddismo tibetano una macchina per far soldi attraverso il turismo e le nuove attività d’impresa incoraggiate da Pechino con una mirata politica di sgravi e agevolazioni economiche.

Tibet in Fiamme

di Piero Verni

(Il Riformista – 17 agosto 2011)

 

Nonostante le rassicurazioni di Pechino, la situazione nella Regione Autonoma del Tibet e nelle aree tibetane incorporate dal 1965 in alcune province cinesi è tutt’altro che normalizzata a due anni dalla vasta e sanguinosa esplosione di collera della primavera 2008.

Tragica dimostrazione del perdurare di questo stato di crisi è l’immolazione di Tsewang Norbu un giovane monaco del monastero di Nyitso che, alle 12,30 del 15 agosto, si è dato fuoco dopo aver gridato per alcuni minuti slogans inneggianti all’indipendenza del Tibet e al ritorno in patria del Dalai Lama.

Lobsang Sangay sostituisce il Dalai Lama alla guida politica del Tibet

di Enrica Garzilli

(Il Fatto Quotidiano, 8 Agosto 2011)

 

 

Lobsang Sangay, 43enne tibetano, Research Fellow al dipartimento di giurisprudenza di Harvard, ha prestato giuramento nel tempio Tsuglagkhang, a Dharamsala, in India, diventando ufficialmente il terzo primo ministro del governo tibetano in esilio.
Sangay ha giurato alla presenza del Dalai Lama e davanti al capo dell’Alta corte tibetana Ngwang Phelgyal Gyechen, rimpiazzando Samdong Rimpoche come Kalon Tripa, cioè primo ministro della Amministrazione Centrale Tibetana. Il giorno è particolarmente fausto perché, come ha ricordato Sangay nel suo primo discorso ufficiale , oggi si celebra la nascita del venerato Guru Rinpoche, il grande yogin ed esorcista che diffuse il buddhismo in Tibet.

Il giorno più importante per il Tibet

di Piero Verni

(Il Riformista, 9 Agosto 2011)

 

Dalle 09,09.09, un numero che la tradizione del Tibet associa alla longevità, di ieri mattina il dottor Lobsang Sangay è ufficialmente il nuovo primo ministro (Kalon Tripa) del governo tibetano in esilio. Nel corso di una affollata cerimonia tenutasi nel tempio principale di Dharamsala, la cittadina dell’India settentrionale divenuta capitale morale della comunità degli esuli, il Dalai Lama ha trasmesso a questo giovane leader nato in esilio 43 anni or sono e mai stato in Tibet, la responsabilità di guidare il popolo tibetano in uno dei più difficili momenti della millenaria storia del Paese delle Nevi.

L’Italia tenta di sedurre il colosso cinese

di Maurizio Caprara

(Corriere.it, 20 luglio 2011)

 

SHANGAI – «Abbiamo trovato in Cina comprensione, amicizia, considerazione», ha detto Franco Frattini da un palco dell’Expo di Shangai, la fiera internazionale del 2010 nella quale l’Italia si prefigge di riaprire dal marzo prossimo il proprio padiglione di prodotti e capolavori nazionali già visitato da sette milioni di persone. Il ministro degli Esteri italiano ha garantito che continueranno a lavorare a questo progetto l’ambasciatore a Pechino Massimo Iannucci e il console generale a Shangai Vincenzo De Luca. Ma non è soltanto riproponendo nella fiera il marchio della Ferrari e opere d’arte aviotrasportate che il governo di Silvio Berlusconi punta a ridurre i rischi di un’Italia in posizione troppo marginale nell’immenso mercato cinese. La realpolitik che attira comprensione si sta spingendo quasi ai limiti di quanto l’appartenenza del nostro Paese all’Occidente e all’Unione europea permettono.