Wen a New Delhi. Ma non è Cindia.

di Matteo Tacconi

(Europaquotidiano.it, 17 dicembre 2010)


Quattrocento uomini d’affari con il premier cinese. Ma tra i due big asiatici resta la diffidenza.

 

Una delegazione impressionante, quella che il primo ministro cinese, Wen Jiabao, s’è portato dietro ieri a New Delhi: 400 uomini d’affari. Quasi il doppio dei 215 che avevano seguito Obama durante la sua trasferta di novembre. Sei e dieci volte, rispettivamente, dei 60 e dei 40 che hanno accompagnato in India il presidente francese Nicolas Sarkozy (a New Delhi dieci giorni fa) e il primo ministro britannico David Cameron, giunto a luglio. La più che nutrita pattuglia cinese chiarisce senza lasciare scampo ai dubbi lo scopo della visita di Wen, che durerà tre giorni: affari, affari e ancora affari.

Il Nobel del Dalai Lama

di Piero Verni

(Il Riformista – 10 dicembre 2010)

 

Oslo, dieci dicembre 1989. Nella grande sala della Universitetets Aula, tradizionale sede della consegna del Premio Nobel per la Pace, a mezzogiorno accompagnato  da Egil Aarvik presidente del Comitato Nobel, il Dalai Lama entra nella grande sala. Sorride mentre si drappeggia sulle spalle lo scialle amaranto della tunica monastica. Dopo aver salutato il Primo Ministro e i membri del governo norvegese si siede nella poltrona della prima fila riservata ai vincitori del Premio. Dopo qualche istante arriva re Olaf con l’intera famiglia reale. La cerimonia si apre con le parole di Egil Aarvik che termina invitando il Dalai Lama a salire sul podio per ricevere il Premio Nobel per la Pace, la medaglia d’oro e il diploma. L’Oceano di Saggezza recita una breve preghiera, pronuncia alcune frasi in tibetano in cui propone i temi centrali del suo pensiero e della sua filosofia e poi, passando all’inglese, inizia il suo discorso. Descrive sè stesso come “… un semplice monaco buddhista che segue con profonda convinzione un modo di vita spirituale: il nobile sentiero del Buddha la cui essenza è l’unione della saggezza e della compassione universale”. E continua dicendo, “Sono anche una persona che, attraverso il naturale corso degli eventi, è legata al destino del Tibet, del suo popolo, della sua cultura e ha dedicato tutte le proprie energie all’adempimento di questo dovere. Questo premio rappresenta il riconoscimento e l’appoggio internazionale per la giusta lotta del popolo tibetano per la libertà e per l’autodeterminazione. Spero e prego che presto possa prevalere la verità e i diritti del mio popolo vengano ristabiliti”. Ricorda infine i giovani dissidenti cinesi che lo fanno essere ottimista per il futuro della Cina e conclude riaffermando la sua incrollabile fiducia nell’essere umano e nei metodi non violenti intesi come unica via per far prevalere giustizia e diritti umani.

I pieni poteri del Dalai Lama

di Piero Verni

(Il Riformista – 17 novembre 201)


“Quando, quel 17 novembre 1950, i membri del governo tibetano vennero a chiedermi di assumere subito la carica di capo dello stato fui preso dal panico. Avevo solo sedici anni, nessuna esperienza politica e per di più i miei studi non erano ancora terminati. All’inizio tentai di rifiutare ma poi mi convinsi che non c’erano alternative, non potevo evitare le mie responsabilità”. Con queste parole il Dalai Lama mi raccontò come fu che assunse la carica di leader politico, oltre che spirituale, della nazione tibetana.

Cina: il dissenso invisibile. Pechino, la protesta all’ombra del Nobel

di Giampaolo Visetti

(La Repubblica, 27 ottobre 2010)

 

Un fatto è certo. A Liu Xiaobo, l’8 ottobre, è stato assegnato il premio Nobel per la pace. Tutto il resto è incerto. Questoè oggi, in Cina, il dissenso. Una sconfinata zona grigia, invisibile e non rappresentabile, che inghiotte nel silenzio migliaia di persone. All’improvviso scompaiono. Nessuno può dimostrare chi le sequestri. Non si sa dove siano, fino a quando. Qualcuno, dopo anni, riemerge dal buio dello Stato. È un altro, invecchiato. Sussurra di essere stato torturato, sparisce di nuovo. Non ci sono tombe. Viene da dubitare che qui si possa in realtà morire, per un’idea. Perché la vita, nell’altra Cina presentabile, continua come nulla fosse: cantieri, shopping, Borse, industrie, successo, promesse di felicità, record. Gli impresentabili, in Occidente, li consideriamo dissidenti. In Oriente li definiscono traditori. La maggioranza dei cinesi non sa che esistono. La minoranza è indifferente. Ignoranza ed incertezza si trasformano in dubbio: il dissenso cinese esiste, o è il parto politico della montante ostilità straniera contro Pechino? Questa sospensione, che annulla il presente raddoppiandolo, è la forza del potere. I giorni sono passati e la felicità per la scelta di Oslo si è spenta in una paura nuova. Che il Nobel sia stato un premio alla memoria del dissenso cinese, la lapide mai deposta in piazza Tienanmen. La parola fine. Oppure l’ultima fiamma, fatta divampare per riaccendere il rifiuto di vivere prigionieri della patria. Un seme conservato per il futuro, non un fiore che oggi può sbocciare.

Un piano “sovietico” per il boom cinese

E il probabile successore di Hu Jintao prova a scalare la nomenclatura


di Marco Del Corona

(Corriere della Sera, 16 Ottobre 2010)


L’hotel Jingxi non è un bunker. Ma il Comitato centrale del Partito comunista, 371 tra membri permanenti e a rotazione, rischia di viverlo così. Il plenum, appuntamento annuale di definizione delle politiche del Pcc, si è aperto lì ieri e cade in un momento gonfio di inquietudine. L’assegnazione del Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiaobo ha scatenato l’ira di Pechino dando nuovi argomenti ai sostenitori del complotto anti-cinese dell’Occidente. Il tira e molla sulla rivalutazione del renminbi rischia d’intensificarsi ulteriormente. E si moltiplicano le sollecitazioni ad avviare riforme politiche, tema cui ha fatto riferimento più volte il premier Wen Jiabao: ancora ieri, dopo un documento sulla libertà di stampa, una seconda lettera firmata da circa 200 intellettuali definiva “Una splendida scelta” il Nobel a Liu Xiaobo e ne invocava la liberazione.