Cina: cambiamenti in vista?

di Piero Verni

(Il Riformista – 15 ottobre 2010)

La risposta, almeno per il momento, è stata come da copione. Da vecchio copione. Pechino ha reagito all’assegnazione del Nobel per la Pace al dissidente Liu Xiaobo con la consueta durezza. L’ambasciatore di Oslo in Cina è stato convocato dal ministro degli esteri cinese il cui portavoce ha dichiarato che questo Nobel è “… un tentativo di attacco contro la nostra Nazione”. Una visita della ministra norvegese Lisbeth Berg-Hansen, prevista da mesi, è stata cancellata. La moglie di Liu messa agli arresti domiciliari e quanti volevano festeggiare il primo cittadino cinese ad avere ricevuto il prestigioso Premio portati in prigione. Infine la versione in lingua inglese del “Quotidiano del Popolo”, ha tuonato contro “l’arrogante” comitato del Nobel e definito “blasfema” la sua scelta. Insomma tutto sembrerebbe andare come di norma. La solita chiusura di Pechino a qualsivoglia critica e l’altrettanto solita reazione esasperata.

Xiaobo, l’attivista senza paura nato dal sangue di Tienanmen

di Giampaolo Visetti

“NON HO nemici: è la mia ultima dichiarazione”. Dopo vent’anni di persecuzioni Liu Xiaobo, simbolo della dissidenza cinese, ha moralmente vinto il premio Nobel per la pace il 25 dicembre 2009. Era il giorno di Natale, la stampa occidentale non sarebbe uscita per due giorni.
Pechino era svuotata di giornalisti stranieri. Il tribunale della capitale chiuse un anno di istruttorie segrete con la sentenza-farsa che si è rivelata ieri il peggiore passo falso del regime: undici anni di prigione per “incitamento alla sovversione ai danni dello Stato”. L’oppositore più imbarazzante del Paese, cristiano, colpevole di aver promosso “Charta 08”, affidò alla moglie Liu Xia il suo messaggio per gli amici: “Inizia oggi la corrosione finale della nostra patria. Nel dolore, per noi è un giorno di speranza”.

Quei giorni di “Carta 08” quando il dubbio spaventò il Regime

di Federico Rampini

ERA il 10 dicembre 2008, lo choc della novità a Pechino fece sperare che poteva aprirsi un’altra Tienanmen: stavolta una transizione pacifica, in una Cina più ricca, più moderna, matura per la democrazia. Era il giorno del sessantesimo anniversario della Dichiarazione dei diritti umani delle Nazioni Unite. Ricordo l’effetto-bomba che ebbe l’apparizione in simultanea su diversi siti Internet cinesi dell’appello di Carta 08, rimasto visibile per diversi giorni prima che intervenisse la censura.

La casa-simbolo circondata dagli agenti. La morsa di Pechino: decine di fermi, tv e web oscurati

di Marco Del Corona

Pechino – Erano davanti al caseggiato dove la moglie di Liu Xiaobao vive senza di lui, mescolati agli agenti in borghese. Gli amici di Liu si guardano in giro. Avevano firmato Charta 08, alcuni la pensano come lui e nelle università provano, con prudenza, a lasciarlo capire. Altri si sono ritrovati alla spicciolata in sale da tè, per festeggiare, il passaparola – telefonate veloci, sms, Twitter – indirizzava poi a una celebrazione con numeri pirotecnici, nei sobborghi. “Ci arresterebbero legittimamente, niente fuochi d’artificio in città”. Location provocatoria, dalle parti della sede della Scuola centrale del Partito comunista. E invece no. Alle 9, un’ora prima dell’appuntamento, tutto rimandato. “Ne hanno fermati almeno due”, diceva nella notte al Corriere uno dei partecipanti mancati, mentr l’agenzia di stampa Efe citava l’avvocato Teng Biao: “Una ventina di arresti”. Anche se leggi e nuove direttive spingono per prassi giudiziarie e di polizia meno violente e arbitrarie, chi entra in rotta di collisione col potere sa di doversi aspettare la visita notturna, gli oggetti confiscati, il “venga con noi” (e magari si prepara a sparire per mesi, come l’avvocato Gao Zhisheng, ricomparso dopo un anno in un monastero e poi scivolato ancora nell’ombra).