La macchina perfetta della censura cinese
di GIAMPAOLO VISETTI
(La Repubblica, 11 maggio 2010)
PECHINO – Non possiedo la chiave della mia casa di Pechino. Gentili sorveglianti, giorno e notte, aprono e chiudono l’ingresso della vecchia dimora cinese dove vivo e lavoro. Controllano tutto, per la mia sicurezza. Se voglio andare a dormire, o incontrare qualcuno, devo prima suonare il loro campanello.
Nemmeno l’uscita secondaria dell’ufficio, attraverso telefono e computer, può essere usata liberamente. Le conversazioni sono registrate e una voce cinese spesso suggerisce cautele che non sono in grado di comprendere. La posta elettronica viene filtrata da un esercito di ingegneri del governo. Identificano le persone che mi contattano e, come gesto di riguardo, glielo comunicano.