La macchina perfetta della censura cinese

di GIAMPAOLO VISETTI

(La Repubblica, 11 maggio 2010)

PECHINO – Non possiedo la chiave della mia casa di Pechino. Gentili sorveglianti, giorno e notte, aprono e chiudono l’ingresso della vecchia dimora cinese dove vivo e lavoro. Controllano tutto, per la mia sicurezza. Se voglio andare a dormire, o incontrare qualcuno, devo prima suonare il loro campanello.
Nemmeno l’uscita secondaria dell’ufficio, attraverso telefono e computer, può essere usata liberamente. Le conversazioni sono registrate e una voce cinese spesso suggerisce cautele che non sono in grado di comprendere. La posta elettronica viene filtrata da un esercito di ingegneri del governo. Identificano le persone che mi contattano e, come gesto di riguardo, glielo comunicano.

Così ricordo il Qinghai devastato dal terremoto

di Lucia Pozzi

(Il Messaggero.it, 14 aprile 2010)

 

Ora bisogna pensare ai soccorsi. Mandare aiuti. Il numero delle vittime sale, e continuerà a saliere nelle prossime ore. Dopo il Sichuan, sconvolto dal terremoto alla vigilia delle Olimpiadi di Pechino, stanotte (7,49 ora locale) è toccato alla provincia del Qinghai essere violentata dalla brutalità di un sisma pari a 7.1 gradi della scala Mercalli, a due settimane dall’apertura dell’expo di Shanghai.

La Cina evita un accordo vincolante su cambiamenti climatici

di Roy-Arne Varsi

Il Primo Ministro britannico Gordon Brown ammonisce che se la comunità mondiale non ha sottoscritto un accordo giuridicamente vincolante a Copenhagen, la responsabilità è prevalentemente della Cina. La verità è che né la Cina né la comunità mondiale erano pronte per un tale impegno; ma le ragioni per cui la Cina non ha accettato un accordo giuridicamente vincolante, sono ancora più controverse. Questo è quanto dichiarato da Knut H. Alfsen, direttore del Centro Cicero, per la Ricerca sul Clima.

Obama riceve il Dalai Lama. Di nascosto

di Marcello Foa
(Il Giornale – venerdì 19 febbraio 2010)
Pechino temeva un gestaccio, è arrivato un gestino. Piccolo piccolo e, soprattutto, quasi invisibile. Obama ha ricevuto il Dalai Lama, ma quasi di nascosto. Il leader dei buddisti tibetani è arrivato alla Casa Bianca da un’entrata secondaria, lontano da fotografi e telecamere. Ed è stato accolto nella Sala delle Mappe, anziché nello studio Ovale. Ovvero: nel salottino del tè, anziché nel salone delle grandi occasioni. Il primo viene usato dal presidente degli Stati Uniti per incontri con leader spirituali e della società civile; il secondo per quello con capi di Stato e di governo. Dunque Obama ha voluto dimostrare a Pechino di considerare il Dalai Lama un leader religioso, uno stimato Nobel della Pace, che incontra un altro Nobel della Pace per condividere l’auspicio di un mondo migliore.
Un summit poco più che di circostanza, al termine del quale, Obama, di solito loquace e sempre felice di farsi fotografare, non è nemmeno apparso di fronte ai giornalisti.