Google sfida la Cina: “Non accetteremo più nessuna autocensura”

di Marco Del Corona
(Corriere della Sera – 14 gennaio 2010)

Tutti adesso cercano informazioni: il Segretario di stato americano, Hillary Clinton, chiede delucidazioni alla Cina e la Cina, attraverso l’agenzia Xinhua, chiede lumi a Google. Tutti intorno al gigante del web che in Cina tanto gigante non è (ha solo il 12% del mercato dei motori di ricerca) ma sul piano globale sì, tutti a tentare di capire cosa succederà dopo l’annuncio dei suoi dirigenti americani. Google, infatti, ha spiegato che Haker cinesi in dicembre hanno violato il suo sistema e sono entrati in diversi account di posta elettronica in modo “sofisticato e mirato”. Non indirizzi qualsiasi, ma di attivi visti per i diritti umani, in Cina e no. Stessa sorte avrebbero subito una trentina di aziende. Ne deriva che il motore di ricerca nella sua edizione cinese smetterà di fornire contenuti autocensurati, “anche se questo potrebbe certo significare la fine di Google.cn e potenzialmente la chiusura dei nostri uffici in Cina”. Nel dubbio, dalla Casa Bianca un appoggio indiretto ma chiaro: “Sosteniamo un Internet libero”.

Ma dopo le Olimpiadi non dovevano diventare più buoni?

di Piero Verni
(freetibet.eu)
11 gennaio 2010. Ve li ricordate quelli che nel 2008, mentre tibetani, uiguri, dissidenti cinesi, praticanti della Falun Gong e molti altri critici del governo cinese protestavano in tutto il mondo contro l’infamia che i Giochi Olimpici si stavano per tenere in un Paese dove anche le più elementari forme di democrazia sono conculcate e qualsiasi voce critica è ridotta al silenzio livido delle prigioni, dei laogai quando non delle esecuzioni capitali, ci davano degli estremisti? Ve li ricordate quelli che, quando facevamo il calzante paragone con la vergogna delle Olimpiadi di Berlino del 1936 ospitate dalla Germania nazista con Hitler nelle vesti di Grande Anfitrione, dicevano che l’esempio era improponibile? Insomma ve li ricordate quelli che con sicumera degna di miglior causa sostenevano, al contrario di quanto dicevamo noi, che la celebrazione di un così importante evento sportivo avrebbe facilitato (”sicuramente” facilitato) l’apertura della Cina al mondo e quindi anche la “democratizzazione” del regime? E, spostandoci un pochino più a ritroso nel tempo, ve li ricordate quelli che all’inizio degli anni ’80 erano pronti a giurare sulla certa ricaduta democratica dell’ingresso della Cina nell’economia di mercato? Per non parlare di quanti scommettevano che accogliere Pechino nel WTO avrebbe “costretto” i suoi dirigenti a venire a più miti consigli in fatto di libertà civili?

La Cina è lontana

02 gennaio 2010 (www.unità.it) Persino Apple, l’azienda di “think different” ha dovuto cedere. Operando una censura sulle applicazioni per iPhone che riguardano il Tibet e il Dalai Lama. Chi utilizza un iPhone in Cina, e vuole scaricare quelle applicazioni non può farlo, perché Apple le ha tolte. Reporter senza frontiere, in una nota indignata, ha … Leggi ancora

Un satyagraha di massa per il Tibet

di Francesco Pullia

Può il Tibet stare nella Cina come il Sud Tirolo-Alto Adige nel nostro Stato? Il quesito, non privo di risvolti shakespeariani, si ripresenta ogniqualvolta capiti di ascoltare il Dalai Lama e la sua proposta di soluzione di una vicenda che si protrae ormai da quasi sessant’anni, da quando cioè le truppe della Cina comunista, in aperta violazione del diritto internazionale e, diciamolo pure, nel pieno disinteresse dei governi occidentali, invasero il Paese delle Nevi sotto la spinta della rivoluzione maoista.

Il Muro di Pechino, il Tibet e i cattivi consiglieri del Dalai (Lettera aperta a Francesco Pullia)

di Piero Verni

Caro Francesco,

un tuo articolo (“Nonviolenza e autonomia per il Tibet, la ragionevole via del Dalai Lama”, pubblicato sul numero del 18 novembre di Notizie Radicali, il benemerito giornale telematico di Radicali Italiani) mi costringe a buttar giù un paio di pensierini sul problema del Tibet in concomitanza con la presenza del Dalai Lama in Italia. Erano anni che mi tenevo alla larga dal circo mediatico-politico che si scatena puntualmente in occasione delle (numerose) visite del Dalai Lama nell’ex Bel Paese. Fino ad ora non avevo mai voluto commentare il patetico spettacolo di politici dall’intermittente interesse per il Tibet, di cui conoscono poco o nulla, ma che si fanno vivi quando, grazie alla presenza del leader tibetano, si accendono i riflettori dell’informazione. Per poi defilarsi immediatamente non appena questi si spengono in attesa di ripresentarsi puntuali alla prossima occasione. Ti faccio un esempio concreto. Tra i tanti che si potrebbero fare. Essendo un assiduo ascoltatore della pregevole Radio Radicale (a proposito, auguri di cuore a Bordin e soci per il rinnovo della convenzione) ho avuto più volte l’occasione di sentire l’ineffabile Giovanna Melandri, appunto uno dei politici sempre in prima fila quando arriva il “Dalai” (lei lo chiama così), affermare che “nessuno” vuole l’indipendenza del Tibet. Allora mi chiedo, dove era la solerte deputata del PD quando solo poche settimane or sono tre giovani tibetani sono stati messi a morte a Lhasa proprio per aver chiesto l’indipendenza del Tibet? E, già che siamo in argomento, dove era quando il 9 novembre sono state eseguite le condanne capitali di nove uiguri che avevano manifestato per l’indipendenza del Turkestan Orientale? No, tanto per saperlo.