Statuto Politico


Michael C. van Walt van Praag, noto esperto di diritto internazionale, in appendice ad un suo articolo scritto per la rivista International Relations, riassume i principali aspetti della questione tibetana sotto il profilo del diritto internazionale.

Il governo tibetano in esilio, guidato da Sua Santità il Dalai Lama, ha costantemente sostenuto che il Tibet si trova sotto la illegale occupazione cinese in quanto la Cina ha invaso questo paese, politicamente indipendente, nel 1949/50. La Repubblica Popolare Cinese di contro insiste nel sostenere che i suoi rapporti con il Tibet sono semplicemente un suo affare interno poiché il Tibet è ed è stato per secoli parte integrante della Cina. La questione dello status del Tibet è essenzialmente una questione legale ma di grande rilevanza politica.
La Repubblica Popolare Cinese non rivendica alcun diritto di sovranità sul Tibet come conseguenza della sottomissione militare e dell’occupazione del paese in seguito all’invasione armata del 1949/50. Difficilmente infatti potrebbe sostenere questa tesi poiché rifiuta categoricamente, in quanto illegale, ogni rivendicazione di sovranità basata sulla conquista, l’occupazione o l’imposizione di trattati ingiusti avanzate da altri Stati. La Repubblica Popolare cinese reclama invece il suo diritto sul Tibet asserendo che il Tibet è diventato parte integrante della Cina settecento anni fa.


Le origini
Sebbene la storia dello stato tibetano abbia inizio nel 127 a.C. quando prese il potere la dinastia Yarlung, il Paese, come lo conosciamo oggi, fu unificato per la prima volta nel settimo secolo sotto il re Song-tsen Gampo ed i suoi successori. Durante i tre secoli seguenti il Tibet fu una delle più grandi potenze dell’Asia come testimonia l’iscrizione riportata su una colonna alla base del palazzo del Potala, a Lhasa, confermata dai poemi cinesi del periodo Tang. Inoltre, un trattato di pace fra la Cina ed il Tibet fu siglato negli anni 821-823. In esso si delineano i confini tra i due paesi e si afferma che “i tibetani potranno vivere felici nel Tibet ed i cinesi in Cina”.


L’influenza mongola
Nel tredicesimo secolo quando l’impero mongolo di Gengis Khan si espanse ad ovest verso l’Europa e ad est verso la Cina, i massimi esponenti della fiorente scuola di buddhismo tibetano Sakya stipularono un accordo con i dirigenti mongoli al fine di evitare la conquista del Tibet. Lama tibetani si impegnarono a garantire la fedeltà politica, la benedizione religiosa ed insegnamenti in cambio di patrocinio e protezione. Il legame religioso divenne così importante che quando, decenni più tardi, Kublai Khan conquistò la Cina instaurando la dinastia Yuan (1279-1368), invitò il capo della scuola Sakya a ricoprire la carica di Precettore Imperiale e Supremo Pontefice del suo impero.
Il rapporto tra mongoli e tibetani, continuato fino al ventesimo secolo, testimonia la stretta affinità razziale, culturale e religiosa tra i due popoli dell’Asia centrale. L’Impero Mongolo fu un impero di importanza mondiale e, qualunque fosse la relazione tra i suoi governanti ed i tibetani, i mongoli non favorirono mai in alcun modo l’integrazione del Tibet con la Cina o con la sua amministrazione.
Il Tibet ruppe i propri legami politici con gli imperatori Yuan nel 1350, prima che la Cina riguadagnasse la sua indipendenza dai mongoli. Negli anni che seguirono fino al diciottesimo secolo, il Tibet non subì alcuna influenza straniera.


Rapporti con Manciù e Gorkha
Il Tibet non stabilì alcun legame con la dinastia cinese Ming (1336-1664). Anzi, il V° Dalai Lama, che nel 1642 costituì il suo governo sovrano sul Tibet con l’aiuto di un mecenate mongolo, strinse stretti rapporti religiosi con gli imperatori Manciù che conquistarono la Cina instaurando la dinasta Qing (1644-1911). Il Dalai Lama acconsentì a diventare guida spirituale dell’imperatore Manciù ed in cambio ne accettò la protezione. Questo rapporto di „guida spirituale-protettore“ (in tibetano Choe-Yoen), che i Dalai Lama mantennero anche con alcuni principi mongoli e nobili tibetani, costituì il solo legame formale tra i Tibetani ed i Manciù durante la dinastia Qing e non comportò alcuna influenza negativa sull’indipendenza del Tibet.
A livello politico alcuni potenti imperatori Manciù riuscirono ad esercitare una certa influenza sul Tibet. Tra il 1720 ed il 1792, gli imperatori Kangxi, Yong Zhen e Quianlong inviarono quattro volte truppe imperiali in Tibet al fine di difendere il Dalai Lama da invasioni da parte dei mongoli e dei Gorkha oppure da agitazioni interne. Tali spedizioni fornirono agli imperatori Manciù il pretesto per esercitare una certa influenza sul Tibet. Vennero così inviati a Lhasa, capitale del Tibet, rappresentanti dell’imperatore alcuni dei quali, in seguito, esercitarono con successo pressioni sul governo tibetano, specialmente per quanto riguarda la politica estera. Nel momento di massima espansione dell’influenza Manciù, la posizione del Tibet non è stata mai molto diversa da quella che può verificarsi tra una superpotenza e uno stato satellite. Una situazione, quindi, che, sebbene politicamente rilevante, non annulla l’indipendenza dello stato più debole. Questo particolare rapporto durò alcuni decenni. Il Tibet non fu mai incorporato nell’Impero Manciù, tanto meno nella Cina, e continuò a portare avanti, di propria iniziativa, le relazioni con gli stati vicini.
L’influenza Manciù non durò a lungo ed era completamente esaurita quando gli Inglesi, che per un breve periodo avevano occupato Lhasa, conclusero con i tibetani, nel 1904, un trattato bilaterale, noto come Convenzione di Lhasa. Nonostante tale perdita d’influenza il governo imperiale di Pechino continuò a reclamare una qualche autorità sul Tibet, soprattutto per quanto riguardava le relazioni estere di questo paese, autorità che il governo imperiale britannico, nei suoi rapporti con Pechino e San Pietroburgo, definì come „controllo politico“. Le forze imperiali tentarono di ristabilire una supremazia reale sul Tibet invadendo il paese ed occupando Lhasa nel 1910. A seguito della rivoluzione cinese del 1911 e della caduta dell’impero Manciù, le truppe di Pechino si arresero all’esercito tibetano e rientrarono in Cina in ossequio ad un trattato di pace tra la Cina ed il Tibet. Il Dalai Lama riaffermò la più completa indipendenza sia all’interno emanando un proclama su tale status, sia all’esterno nei contatti con altri governi e stipulando un trattato con la Mongolia.



Il Tibet nel ventesimo secolo
Lo status del Tibet, dopo il ritiro delle truppe Manciù, non è oggi oggetto di seri motivi di discussione. Qualunque fossero i legami tra il Dalai Lama e gli imperatori Manciù della dinastia Qing, essi ebbero fine con la caduta dell’impero e della dinastia. Tra il 1911 ed il 1950 il Tibet impedì con successo l’instaurarsi di indebite ingerenze straniere ed operò, sotto ogni punto di vista, come uno stato completamente indipendente.
Il Tibet intrattenne relazioni diplomatiche con il Nepal, il Bhutan, la Gran Bretagna e più tardi con l’India indipendente. Le relazioni con la Cina si mantennero tese. I cinesi intrapresero una guerra di confine con il Tibet e nello stesso tempo fecero pressioni ufficiali affinché il Paese delle Nevi confluisse nella Repubblica cinese reclamando sempre ed ovunque che i tibetani erano una delle
 cinque razze cinesi.
Nel tentativo di attenuare la tensione sino-tibetana, gli Inglesi convocarono, nel 1913 a Simla, una conferenza tripartita nella quale i tre stati si incontrarono a pari condizioni. Come fece presente il delegato inglese alla sua controparte cinese, il Tibet prese parte alla conferenza come una 
nazione indipendente che non riconosceva alcun legame con la Cina. La conferenza non ebbe un esito positivo poiché non riuscì a risolvere le controversie esistenti tra Cina e Tibet ma fu importante perché riaffermò l’amicizia anglo-tibetana, suggellata da una accordo commerciale tra i due paesi e dalla sistemazione di alcuni problemi di confine. Nella dichiarazione congiunta la Gran Bretagna ed il Tibet si impegnarono a non riconoscere mai la sovranità cinese o altri diritti speciali sul Tibet a meno che la Cina non avesse sottoscritto la Convenzione di Simla che, tra l’altro, garantiva al Tibet una più ampia estensione, l’integrità territoriale e la piena autonomia. Poiché la Cina non firmò mai la Convenzione, rimane in vigore quanto espresso nella dichiarazione congiunta.
Il Tibet intrattenne le proprie relazioni internazionali sia attraverso contatti con missioni diplomatiche britanniche, cinesi, nepalesi e bhutanesi a Lhasa, sia inviando proprie delegazioni governative all’estero. Quando l’India divenne indipendente la missione britannica a Lhasa fu sostituta da una missione indiana. Durante la seconda guerra mondiale il Tibet assunse una posizione neutrale nonostante forti pressioni esercitate dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dalla Cina affinché venisse consentito il passaggio di armamenti in territorio tibetano.
Il Tibet non ha mai intrattenuto rapporti con molti stati, ma quelli con i quali ha avuto contatti hanno trattato il Tibet come uno stato sovrano. Di fatto il suo status internazionale non era affatto differente da quello del Nepal. Così quando il Nepal, nel 1949, chiese di diventare membro delle Nazioni Unite citò, tra l’altro, le sue relazioni diplomatiche con il Tibet a sostegno della sua piena personalità internazionale.



L’invasione del Tibet
Il momento critico della storia del Tibet sopraggiunse nel 1949 quando l’esercito di Liberazione della Repubblica Popolare Cinese invase il paese. Dopo aver sconfitto il piccolo esercito tibetano ed aver occupato metà del territorio, nel maggio 1951 il governo cinese impose al governo tibetano il cosiddetto „Accordo in 17 punti per la liberazione pacifica del Tibet“. Tale accordo, poiché sottoscritto forzatamente, non ha validità secondo il diritto internazionale: la presenza di 40.000 militari, la minaccia di un’imminente occupazione di Lhasa e la prospettiva di una totale eliminazione del Tibet lasciavano ai tibetani pochissime possibilità di scelta.



Conclusioni

Nel corso dei suoi 2.000 anni di storia, il Tibet è stato soggetto all’influenza straniera solo per brevi periodi nel corso del tredicesimo e diciottesimo secolo. Pochi paesi indipendenti possono oggi rivendicare un passato così illustre. Come ha fatto notare l’ambasciatore d’Irlanda alle Nazione Unite nel corso di un dibattito dell’Assemblea Generale sulla questione del Tibet… „per migliaia di anni o in ogni caso per almeno duemila anni, [il Tibet] è stato libero e ha avuto il pieno controllo dei suoi affari interni quanto e come altre nazioni rappresentate in questa Assemblea ed ancora mille volte più libero di quanto potessero essere molte delle Nazioni qui presenti…“ Nel corso dei dibattiti alle Nazioni Uniti molti altri Paesi hanno fatto dichiarazioni che riflettono analoghi riconoscimenti dello status indipendente del Tibet. Così, per esempio, il delegato delle Filippine ha dichiarato: „È chiaro che alla vigilia dell’invasione, nel 1950, il Tibet non era soggetto al governo di nessun Paese straniero.“ Il delegato della Thailandia ha ricordato all’Assemblea che „…la maggioranza degli Stati rifiuta l’opinione che il Tibet sia parte della Cina.“ Gli Stati Uniti si sono uniti alla maggioranza degli altri Stati membri delle Nazioni Uniti nel condannare l’aggressione cinese e l’invasione. Nel 1959, 1960 ed ancora nel 1965 l’Assemblea Generale delle Nazioni Uniti ha approvato tre risoluzioni (1353 [XIV], 1723 [XVI] e 2079 [XX]) che condannano le violazioni dei diritti umani da parte dei cinesi e richiamano la Cina a rispettare ed a garantire i diritti umani e le libertà fondamentali del popolo tibetano incluso il diritto all’autodeterminazione.
Dal punto di vista giuridico il Tibet non ha mai perso la sua caratteristica di stato. È una nazione indipendente oppressa da una occupazione illegale. Né l’invasione militare cinese né l’occupazione continua da parte dell’Esercito di Liberazione della Repubblica Popolare della Cina hanno potuto trasferire la sovranità del Tibet alla Cina. Come sottolineato in precedenza il governo cinese non ha mai rivendicato di aver acquisito la sovranità sul Tibet per mezzo della conquista. Infatti anche la Cina riconosce che l’uso o la minaccia della forza (eccetto le condizioni eccezionali stabilite dalla Corte delle Nazioni Unite), l’imposizione di un trattato ingiusto e la continua, illegale occupazione di un Paese non possono in alcun modo garantire all’invasore il diritto di proprietà del territorio occupato. Le rivendicazioni cinesi sono basate esclusivamente sul preteso assoggettamento del Tibet da parte di pochi potenti governanti cinesi durante il tredicesimo ed il diciottesimo secolo.