23 luglio 2015. Otto giorni prima di morire Sonam Topgyal, il ventisettenne tibetano immolatosi con il fuoco a Kyegudo, nella Prefettura Autonoma Tibetana di Yulshul, lo scorso 9 luglio, denunciò in un testamento spirituale la dura repressione esercitata dal governo cinese nei confronti dei tibetani e della sua stessa persona.
Queste le sue parole fatte pervenire alla redazione del sito Tibet Post International da una fonte svizzera che ha preferito mantenere l’anonimato.
“Ai leader del governo cinese e, in particolare, ai locali capi delle minoranze.
Sono Sonam Topgyal, il figlio ventisettenne di Tashitsang, da Nangchen – Yulshul – regione di Tsogon. Sono un monaco e studio allo Dzongsar Institute.
Come tutti sanno, sia dentro sia fuori del Tibet, il governo cinese non tiene in alcun conto la reale situazione delle minoranze ma esercita su di esse soltanto direttive politiche dure e repressive. Allo stesso tempo si accanisce contro la nostra religione, le nostre tradizioni, la nostra cultura e distrugge l’ambiente naturale tibetano. Non abbiamo alcuna libertà di espressione e non disponiamo di contatti ufficiali per parlare della nostra situazione e presentare reclami.
Inoltre, ogni volta che i tibetani cercano di raccontare la verità circa la loro situazione ed esprimere le loro lagnanze, le autorità, anziché trovare una soluzione, rispondono con maggiori repressioni e arresti. Avvalendosi di disposizioni ingannevoli, il governo impedisce ai monaci e alle monache di entrare nei monasteri. In poche parole, le autorità stanno totalmente spazzando via le minoranze.
Desideriamo in primo luogo che il Dalai Lama possa tornare al Palazzo del Potala. Sacrifico la mia vita per dimostrare al mondo intero e in particolare al popolo e alle autorità cinesi che, in quanto tibetani, non disponiamo né del potere né dei canali necessari per parlare delle ingiustizie che ci sono inflitte.
Fratelli e sorelle tibetani dello stesso mio sangue, vi chiedo di non starvene in disparte come se non aveste visto o udito nulla. Siate uniti e battetevi con tutte le vostre forze perché, alla fine, la nostra giusta battaglia possa essere vinta”.
Scritto il 1° luglio 2015, proprio nel momento del sorgere del sole.
Sonam Topgyal
Cremato in prigione il corpo di Tenzin Delek Rinpoche
Il corpo di Tenzin Delek Rinpoche è stato cremato oggi dalle autorità carcerarie in una prigione segreta a circa 5 Km dalla prigione di Chuandong, a Chengdu. Inascoltate le richieste dei famigliari che desideravano compiere i riti funebri, secondo i canoni della tradizione Buddista, a Lithang, terra natale di Tenzin.
Soltanto a circa trenta tibetani, tra parenti stretti e studenti, è stato consentito di vedere il corpo di Tenzin Delek Rinpoche prima della cremazione e di recitare qualche preghiera. “Non è stato possibile portare all’interno della fatiscente prigione alcuna macchina fotografica o telefono”, hanno fatto sapere i famigliari. “Tutto quanto Tenzin Delek possedeva è stato bruciato e a nessuno è stato permesso di portare con sé un ricordo”.
Nyima Dhondup, cugino di Tenzin, ha dichiarato: “Ho il cuore a pezzi e sono anche molto arrabbiato. La mia famiglia non può accettare tutto questo. Continueremo a chiedere giustizia fino a quando non otterremo risposta”.
Fonte: The Tibet Post International